I Demomode arrivano al quarto disco: si tratta di Ou, certo non da leggere alla francese ma alla siciliana, quindi come due suoni staccati che possono servire da richiamo, da rimprovero e in molti altri contesti della vita quotidiana.

La band, in questo episodio, ha fatto buon uso della produzione di Daniele Grasso  e ha cercato il Santo Graal di molte rock band: riprodurre anche in studio l’energia del live.

A occhio ci sono riusciti: il disco si compone di dieci pezzi molto tirati, molto compatti, molto coerenti, senza cedimenti di ritmo né nel livello della tensione.

Manuali e modi d’uso apre il discorso cercando subito l’impatto, e per lo più trovandolo: il brano è ad alto ritmo e sfrutta, alla moda d’oggi, brevi schitarrate brucianti che non sono né riff né assolo ma tengono insieme il tutto.

Il secondo brano è Codici, ritmo un po’ più morbido e qualche giochetto di voce, ma soprattutto un atteggiamento rock blues complessivo piuttosto bruciante.

Segue Boom e a questo punto è evidente che la volontà della band sia quella di afferrare la gola dell’ascoltatore e di non lasciarla se non a fine disco. Le influenze del brit rock qui sono particolarmente evidenti, pur nella diversità di testi per niente “leggeri”.

Senza fiato aggredisce fin da subito e mette in evidenza sia somiglianze vocali con Manuel Agnelli piuttosto notevoli, sia una capacità di tessitura che non passa in secondo piano.

Post la prende un po’ più alla larga e può ricordare qualcosa dei Subsonica per modalità compositiva, ma l’atmosfera è sempre chiaramente rock.

Si rallenta un po’ con Cos’è che rimane, che propone scenari tra il lirico e l’epico ma senza interrompere il flusso continuo che caratterizza tutto il disco.

Ed ecco la cover a sorpresa: un Celentano d’annata con il suo brano più improbabile, quella Prisencolinensinainciusol scritta all’epoca per dimostrare che si poteva far finta di cantare in inglese pur senza conoscere una parola della lingua d’Albione. La resa dei Demomode, rispettosa, mette in evidenza le virtù di un pezzo che ha sempre avuto un nerbo e una forza notevole.

Indizio propone volute piuttosto larghe e fa pensare (non è la prima volta) agli Afterhours, benché qui e là ci sia qualche spruzzata anche dei primi Litfiba (cioè gli unici degni di ascolto, per inciso).

Ed ecco Nero, che riprende a pompare benzina a ottani alti, con una batteria in grande evidenza e un mood molto Seventies. E se fin qui ci sono stati cenni a Subsonica, Afterhours e Litfiba, ecco qualcosa di molto più diretto: i CSI di Tabula rasa elettrificata, qui forse ancor più elettrificata dell’originale, con Forma e sostanza.

Un disco super-compatto, si diceva, ma anche in grado di variare registro quando è necessario: le divagazioni che i Demomode si concedono sono altrettanto piacevoli di quando scendono in campo per dimostrare durezza e purezza.

Dentro Ou è possibile trovare tutto il rock italiano, dalla radice  citata fin dai primordi celentaniani, fino agli esiti più recenti, senza però perdere di vista ciò che succede al di fuori d’Italia. Un disco meritevole di ascolto e di attenzione, e una grande prova di maturità per la band siciliana.

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