Si chiama Telecomando il nuovo video de Lo Sceriffo Lobo, progetto curioso, ironico ma in modo mai sguaiato, con un che di pensoso: TRAKS ti propone il nuovo video, girato da Mattia Meirana, in anteprima esclusiva. Dopo il video quattro chiacchiere con Lo Sceriffo Lobo.
Partiamo dalla canzone: da quali spunti nasce Telecomando?
Telecomando nasce qualche estate fa. Mi ero posto l’obiettivo di scrivere almeno una canzone al giorno durante il periodo delle ferie. Nobile intento che era poi andato a scontrarsi con la realtà dei fatti: per scrivere qualcosa bisogna avere qualcosa da dire e durante l’ozio delle ferie ad agosto succedono davvero poche cose interessanti.
Così mi sono aggrappato a quello che trovavo in casa e una delle prime cose che ho visto è stata il telecomando. Strumento di selezione per eccellenza, nella canzone vede il suo ruolo ribaltato ma anche rivalutato dal fatto che, a differenza di tutti gli strumenti che ci circondano oggi, ti dimentichi che sia anch’esso alimentato perché le batterie durano tantissimo.
Il video, girato da Mattia Meirana, merita sicuramente qualche approfondimento: com’è nato il concept e che cosa rappresenta questo vecchio tv a tubo catodico? E che fine ha fatto, al termine del clip?
Ho girato la domanda direttamente all’autore che risponde così: “È in realtà solo un’idea divertente, quella de Lo Sceriffo Lobo che fatica trascinandosi dietro un oggetto pesante e ormai desueto. Però può voler dire diverse cose: può essere il passato, un fardello da cui liberarsi, la fine di un momento e l’inizio di quello nuovo. Dare un senso a quella malinconia che ci porta verso il mare. Lo sguardo finale, condiviso, potrebbe essere quello dell’ultimo saluto, e poi ognuno per la sua strada. Nel caso del televisore, meno poeticamente, verso l’unica isola ecologica aperta quel sabato pomeriggio”.
Il singolo anticipa il tuo nuovo ep. Ci vuoi raccontare come sarà?
Saranno quattro canzoni di pop elettronico in italiano. Strane, divertenti ma non scritte per far ridere. Non mi interessa fare cabaret quanto piuttosto scrivere a modo mio scavando in quelli che sono i miei lati più borderline per tirare fuori qualcosa di curioso. Negli ultimi anni mi sono interessato molto di suoni e produzione: da ragazzino pensavo che bastasse suonare male qualcosa per renderlo unico. In realtà la questione è più complicata ed è molto più difficile fare qualcosa di buono con suoni brutti che non il contrario. Questo ep segna, spero, un piccolo passo avanti a livello di suoni e di equilibrio nell’arrangiamento.
Hai aperto anche una tua etichetta, la Bulacco Dischi: quali i motivi e quali gli obiettivi?
Io sono uno della vecchia guardia. Suono da prima dell’uscita di myspace e sono passato attraverso diverse ere musicali e… oggi non ci capisco niente. La scena brulica di progetti musicali e operatori di vario genere (etichette, agenzie di booking e di promozione ecc) e questa abbondanza rende più difficile emergere se non si hanno risorse e tempo da investire. Quindi, come spesso faccio, ho pensato che la cosa più assurda da fare potesse essere anche la più interessante: entrare in punta di piedi nell’ingranaggio e giocare direttamente con le sue dinamiche.
Devo ammettere però che l’intento non è solo quello di autopromuovermi. Ho partecipato per anni all’organizzazione di concerti a Genova e sono molto interessato al panorama musicale indipendente. Ho già qualche progetto in mente e sono disponibilissimo a valutare eventuali proposte. L’idea è di mantenere una linea editoriale con alcuni elementi ricorrenti ma non necessariamente sempre presenti: il pop, arrangiamenti non incentrati sulla chitarra, la lingua italiana, i testi sbilenchi.