Bisognerebbe sentirsi privilegiati, delle volte. A volte si dà per scontata la possibilità di poter assistere ai concerti che ami; a volte li apprezzi ma poi te li lasci un po’ scivolare addosso. Invece bisognerebbe capire che avere la possibilità di vedere un Manuel Agnelli in forma spettacolare (due volte in un anno, per quanto mi riguarda) nel mezzo della parte invernale del suo An Evening with Manuel Agnelli tour non è cosa da dare per scontata.
Personaggio centrale da almeno un ventennio per la musica italiana, si muove sulla grande e disordinata scena del Palco 19 di Asti con la padronanza assoluta di chi è all’apice della propria carriera. Lo avevamo visto quest’estate nell’affollatissima e sudata ultima data del tour estivo, a casa sua, a Germi, il locale milanese che ha aperto insieme ad amici e sodali.
Rispetto ad allora la scaletta è decisamente riveduta e corretta, soprattutto per quanto riguarda le numerose cover che proporrà durante la serata. Ad affiancarlo sempre il fedelissimo Rodrigo D’Erasmo, impegnato soprattutto al violino, di tanto in tanto alle tastiere e poi ad amenità strumentali varie.
Manuel Agnelli: Berlino, Trilussa ed Emma
Anche il contesto è decisamente diverso: Germi è una sorta di pub, in cui l’artista, per cambiarsi o andare in bagno, deve fendere la folla pestando i piedi a qualcuno nel percorso. Qui invece il discorso è più istituzionale: un teatro vero, balconate, piccionaia e tutto, anche se le sedie della platea sembrano recuperate dall’aula magna di un liceo. E il ragazzo al bar ti versa il glorioso spumante locale nel bicchiere della birra. Pieno raso, così siamo tutti belli allegri già prima dell’arrivo di Manuel e Rodrigo.
Parte solo al piano con Berlin di Lou Reed (presenza costante, di solito chiudeva con Perfect Day) e parla delle proprie avventure berlinesi. Parla tantissimo Manuel, con disinvoltura e con un’ironia cinica terribile ma in grado di strappare risate cattive e sincere. E’ sincero anche quando prende in mano la chitarra, come su Male di miele ricca di distorsioni.
Poi parla di aborto, per dichiarare che come tutti gli uomini non sa parlarne: ecco Musa di nessuno. Poi ecco Né pani né pesci. Se parla molto e racconta molti aneddoti, rispetto alla performance milanese ha drasticamente asciugato gli interventi “letti”: poesie e citazioni sono ridotte soltanto a due interventi: il primo è la Vipera convertita di Trilussa, dedicata a “un figuro” che assomiglia sinistramente al tizio delle nocciole turche. Che non è Ferrero, per capirsi.
Gli piace raccontare del periodo di merda che ha passato prima dell’uscita di Hai paura del buio?, che costituì il punto di svolta per gli Afterhours. Ed ecco la sempre abrasiva Pelle. Piena di dissonanze e stramberie Costruire per distruggere, mentre ti accorgi che il palco è enorme ma non sovradimensionato per due che lo riempiono così. E che a un certo punto si siedono pure loro a bere del vino.
Manuel parla di Emma, sua figlia, di cui critica gli ascolti (un classico) e che esce solo con ragazzi con le braccia ingessate. Nell’interscambio con le nuove generazioni Manuel ha consigliato a Emma True love will find you in the end di Daniel Johnston, che esegue con trasporto e passione. Passione che si trasporta fino a un’altra vittima musicale illustre, Ian Curtis dei Joy Division, celebrato con Shadowplay.
Poi siparietto su Springsteen: “C’è una canzone che non fa mai in concerto, eppure gliela chiedono sempre. Strategie. Ecco quella proprio non la fa mai. Ma non fa mai neanche questa” e parla di Lost in the flood, ballata mondana e mistica che emerge da Greetings from Asbury Park, NJ, del 1973, esordio del Boss proposto al piano con tutta la convinzione e la forza d’impatto necessaria.
Poi, dopo un monologo su una fan veneta che gli dice che non è più quello di una volta, ecco proprio Strategie, incazzata e meravigliosa. E dopo una lettura molto istruttiva di un brano di Goering sul controllo della paura, parla di serie tv, l’unico posto in tv in cui si sente della buona musica. Tipo 1994 che “infatti finisce con un pezzo che ho scritto io”. La sua arroganza e tracotanza sono del tutto paradossali e sono un evidente scudo contro la popolarità, ma a giudicare dai commenti che riceve sui social, non sempre popolati da premi Nobel, pare ci siano molti che non colgono il sottile distinguo.
Racconta anche di come “Diventiamo delle merde per realizzare i nostri sogni” prima di attaccare con Padania e le sue desolazioni mentali. Riesce anche a dire: “Ho partecipato recentemente a un talent dal quale sono uscito magnificamente” strappando risate aperte e poi parte con Video Games di Lana del Rey, spiegando che “da non piacermi è diventata il simbolo di questo tour”, cantata voce vibrante e quasi ronzante.
Come si fa lo stage diving?
Poi altro monologo: stavolta spiega come si fa lo stage diving (mandi affanculo le prime file così si compattano per insultarli e quando gli piombi addosso non hanno scampo e ti devono sorreggere per forza). Ti aspetteresti un pezzo arrabbiato, invece ecco Non è per sempre. Poi sale sul palco Giovanni Succi che occupa bene il proprio spazio con un paio di pezzi che ne connotano l’originalità e la forza poetica.
Torna protagonista la voce di Agnelli che racconta di un concerto commovente visto di recente: è quello di Nick Cave, di cui eseguono Skeleton Tree spiegando che le altre cover sono “canzoni rubate”, questa è invece è un vero tributo a un artista.
Pausa e rientro con The long and winding road. Poi Ballata per la mia piccola iena, prima di confrontarsi con il Battisti de L’aquila: uno dei pezzi più intensi della storia musicale di Lucio nella prima parte è proposta in modo molto Afterhours, poi si piega a una deriva psichedelica. Quindi anche i Beatles, quindi anche Battisti, e fatti con i propri criteri, il proprio stile e la propria sensibilità: siamo quasi al senso, motivato, di onnipotenza. L’impressione è che Manuel possa fare più o meno quello che vuole, e lo farà comunque in modo assolutamente convincente.
Si parla poi di un viaggio in India con Emidio Clementi e la di lui fidanzata (a occhio è l’unica effettiva ripetizione rispetto al concerto milanese), il tutto per fornire un background testuale a Bye Bye Bombay, in cui la Telecaster viene strappata come si conviene, con finale psichedelico.
Altra piccola pausa con molti applausi. Quando rientra è sempre gentile: “Vediamo se riesco a levarvi questi ingiustificati sorrisi”, prima di attaccare Quello che non c’è, e finire con Ci sono molti modi. Gli gettano perfino dei fiori, come alle dive. E lui: “Ma cazzo, sono crisantemi”. Spiace Manuel, ma questi ingiustificati sorrisi non ce li levi, ce li portiamo fino a casa. Lui intanto raggiunge lo sfondo della scenografia, si mette il cappello e la sciarpa da detective anni Trenta, finge una telefonata e se ne va.