Cosmography è l’album d’esordio di Mått Mūn, nuova produzione della label veneta Beautiful Losers. Il revival degli anni ‘80, le atmosfere à la Stranger Things, una fascinazione per il cosmo, cascate di synth e tante drum machine: questi sono gli elementi che costituiscono il sound delle canzoni di Cosmography.
Dieci brani che dipingono scenari apocalittici, post-umani, ma sempre con la leggerezza di chi vuol soprattutto raccontare le storie che ci hanno affascinato da adolescenti e divertire.
Dietro il moniker anglo-giapponese dell’autore, Mått Mūn, si cela Mattia Menegazzo, cantante e chitarrista veneto dai trascorsi rock. L’incontro con Andrea Liuzza, titolare dell’etichetta e produttore di tutti i progetti pubblicati, lo ha spinto ad affrontare questo viaggio nel cosmo, alla ricerca del battito del cuore universale.
Mått Mūn traccia per traccia
Si incomincia con un po’ di ritmo: Catalyzer chiarisce fin da subito il tipo di disco che andiamo ad affrontare. Synth pop a carte scoperte, con influenze ben determinate e qualche oscurità qui e là.
Si picchia duro con E-Motional, che scatena una sorta di battaglia elettronica, subito corroborata anche da un drumming regolare e determinato, dal quale poi si distacca un cantato particolarmente aereo.
Movimenti ad anello quelli di Ellipsis, vagamente ipnotica ma poi morbida nel dipanarsi, nonostante qualche suono abrasivo.
Piccoli suoni introducono a Zero, che li sovrappone a un arpeggio di chitarra classica. Quando entrano voce e archi ci si rende conto che la canzone è ricca di pathos e impatto.
Schermaglie e atteggiamenti pop quelli che si riscontrano in Love Positronic, che sembra una pagina stralciata dal songbook di qualche band anni ’80.
Più oscura e variegata invece Nebula, pur con sonorità che non deviano particolarmente dal percorso. Si transita poi attraverso le soffici nuvole sonore di Untouchable.
Malinconie assortite permeano anche Spectrum, mentre con Hypersonic si decolla a velocità alte per ricercare sensazioni più appuntite.
Si chiude con alte dosi di malinconia: Universal Beating Heart è forse il brano più triste del disco, e anche quello in cui la melodia si sviluppa in modo più rotondo.
Buone le doti di Mått Mūn, messe in evidenza in un album che non fa mistero delle proprie fonti di ispirazione sonore, ma che riesce a plasmare il tutto in modi personali e convincenti.