La Paura va via da sé se i pensieri brillano è il nuovo album di Nada, a tre anni dal precedente disco di inediti È un momento difficile tesoro. Dieci brani, interamente scritti e composti da Nada e che descrivono la continua evoluzione stilistica di quest’artista senza compromessi e senza tempo.
È rock nell’anima, nell’attitudine, nel suo essere controcorrente, da sempre e per sempre. E lo è nel suono, che anche in questo nuovo capitolo della sua discografia Nada ha affidato alle mani e ai cursori di John Parish, che nell’album non solo produce ma suona quasi tutti gli strumenti.
Il produttore inglese, già noto per le sue collaborazioni con PJ Harvey, Eels, Giant Sand, Tracy Chapman, è in sintonia con l’artista e così come per i precedenti È un momento difficile tesoro (2019) e Tutto l’amore che mi manca (2004), riuscendo a trasporre le visioni musicali di Nada in arrangiamenti perfetti nel calzare i suoi testi ipnotici.
Nada traccia per traccia
Passo cadenzato e voce in forma come non mai per Nada che apre il disco con una tranquilla e piuttosto pop In mezzo al mare: il tuffo prospettato dal testo del brano è evidentemente metaforico ed esorta a “godere della vita che hai”. Che poi è l’unica cosa che si possa concretamente fare.
Più serie le atmosfere di Io ci sono, un’affermazione di presenza che è condotta con calma, atteggiamento contemplativo e voce che si alza gradualmente, mentre i suoni svariano un po’. In attesa dell’urlo liberatorio finale, terribilmente rock.
Atmosfere blues, quasi Delta, quelle di Sorridimi: la necessità di un sorriso si intreccia con quello che ancora si ha da dire e da fare, perché a volte basta un sostegno forte per andare avanti dritti per la propria strada.
La filastrocca, profondamente radicata nell’attualità, di Chi non ha prende il proprio spazio, con tutti i suoi retrogusti in stile CSI. Il battito del brano è forte e ben distinto, facendo da contrasto con le volute del testo, che pur arrotolando le parole ha un significato chiarissimo e potentemente politico.
Si va sott’acqua con i suoni di Banane City, che adotta un pizzico di ironia amara per ammantare un desert rock. “E’ questo quello che ci resta/coprirci di più”: una frase a molti sensi, particolarmente adatta a un inverno freddo e vuoto di senso.
Noi resteremo uniti è un’altra esortazione che si trasforma in un racconto di fantascienza, in cui però c’è moltissima autobiografia e molte battaglie realmente combattute.
Le tastiere conducono Un viaggio leggero su sentieri aerei: “potrei finalmente pisciare sopra la città” in un sogno dai contorni freudiani, più allegro e rinfrescante che distruttivo.
Sax e altro blues riempiono Oscurità, canzone che fra i versi nasconde il titolo dell’album, e che si distende morbida in ambiti decisamente notturni, che finiscono quasi in jazz.
Il brano più curioso del disco arriva quasi alla fine: Nada Yoga è una sorta di esercizio spirituale in musica, “un viaggio nel vuoto” che si leva con calma ma senza trascurare concetti anche dolorosi.
Tu non mi chiedi mai di me chiude il disco su toni dolceamari, con sonorità che si permettono qualche svolazzo mentre il testo si muove tra certezze e domande.
Copertina semplice e titolo lungo per il nuovo lavoro di Nada, che come da attese è consistente, ben fatto, suonato in maniera eccellente e del tutto convincente. Non ha nulla da dimostrare ormai da anni, se non a se stessa, per placare uno spirito evidentemente inquieto e mai del tutto soddisfatto.
Eppure è in grado di stare perfettamente sul pezzo, senza strafare ma spingendosi sempre un po’ più in là. Anche in questo caso il disco è centrato, sensato, qui e là potente: un’altra prova di classe da un’interprete e ora cantautrice sempre in grado di capire le tendenze e, di tanto in tanto, di superarle.