Let’s Gallop! è il primo disco della One Horse Band, one man band milanese nata nell’inverno 2015. Dopo i primi esperimenti e un lungo periodo di isolamento in sala prove, la direzione presa dall’eclettico One Horse si rivela subito chiara fra influenze garage, dirty blues e rock’n’roll. In pochi mesi la One Horse Band è già on the road con una chitarra, una scatola di biscotti Plasmon e una vecchia batteria a piedi, suonando sui palchi di tutta Italia e Svizzera, avendo l’opportunità di aprire fra gli altri i concerti del leggendario Bob Log III e di Jack Broadbent.
Serata dopo serata nasce un modo di proporre la propria musica e instaurare un rapporto con il pubblico completamente nuovo, le esibizioni non lasciano mai nessuno indifferente e diventano prima di tutto una grande festa in cui tutti sono partecipi. Proprio in questo primo anno denso di concerti e di storie da raccontare nascono i brani che compongono il primo album della One Horse Band.
Let’s Gallop! è un album che contiene tutte le sfaccettature, le influenze e i grandi amori della One Horse Band. All’interno delle dieci tracce che lo compongono One Horse si muove fra brani sporchi e lo-fi, chitarre slide, ballate distorte e rivisitazioni molto personali di brani insospettabili (quella “Venus” che portò gli Shocking Blue al successo planetario nel 1969), suonando in contemporanea chitarra, dobro, cigar box, banjo e batteria.
One Horse Band traccia per traccia
Con un’intro presa di peso dalle cronache del Kentucky Derby, giusto per rimanere in ambiente ippofilo e americano, il disco si apre con Declaration of intent, un blues elettrico acido e sporco. Si rimane su discorsi molto dirty con Howlin’ at your door, che conferma anche tendenze ironiche nella scrittura. Con Uh Hu Hu yeah! ci si sposta su versanti più southern rock, versante ZZ Top, con coretti ad accompagnare.
Mama I think I’m drunk accelera ulteriormente ed espone con elettricità e nei particolari la situazione anticipata dal titolo. La quasi omonima One Horse Blues presenta un tracciato minimal voce e chitarra, ma sufficientemente aggressivo da essere interessante. Ecco poi la cover del classico Venus, resa in modo martellante e ancora una volta piuttosto sporco.
Bad Love Blues mette la chitarra al centro e riprende strade acide. Si torna a versioni più minimaliste con Don’t put your leg on my leg, mentre si torna a un blues elettrico con qualche variazione sul tema con Wild lovin’ woman. Si chiude con Altare, inaspettato brano intimo, intessuto per una volta su una melodia dolce di chitarra.
One Horse Band riempie le casse di suoni vecchi, arrugginiti e di seconda mano. Ma il risultato è convincente, la personalità di alto livello e il disco molto divertente, specie in alcuni passaggi.