Terra Matta è una riscrittura sonora riguardante canzoni di Rosa Balistreri (Licata 1927 – Palermo 1990) realizzata da Persian Pelican, progetto del musicista marchigiano Andrea Pulcini.
Il lavoro è il risultato di un bando ideato da 10 HeartZ che consisteva in una residenza musicale nei territori marchigiani colpiti dal sisma dell’agosto 2016. L’ep è stato concepito e registrato all’interno di una yurta dell’Azienda Agricola Scolastici di Macereto (MC) con la collaborazione di Paola Mirabella (voce, percussioni) e Roberto Colella (tecnico del suono).
Ignazio Buttitta si riferiva a Rosa dicendo: “il suo canto strozzato, drammatico, angosciato, pareva uscisse dalla terra arsa di Sicilia, perché Rosa Balistreri è un personaggio favoloso, direi un dramma, un romanzo, un film senza volto”.
Terra matta non vuole essere un’opera commemorativa, ma un dialogo a distanza tra mondi diversi, ma non per questo lontanissimi. Fin dagli inizi del suo percorso Persian Pelican, si è interessato al folk, sfilacciando e ricomponendo a livello musicale e strutturale la grammatica della forma canzone tradizionale.
Persian Pelican traccia per traccia
La prima traccia del disco è Avò, che introduce una dicotomia singolare: da una parte un cantato dialettale che sa di antico, dall’altra sonorità che pur non forzando la mano risultano contemporanee. A completare il quadro un cantato dolce.
Terra Ca Nun Senti di base sarebbe una canzone di sofferenza, tuttavia il percorso scelto da Persian Pelican è morbido, quasi esotico nei suoni, fino a sfociare in una ninna nanna. Pur parlando di cuori “sempre in guerra”.
C’è dolcezza anche mentre si narra de I Pirati a Palermu, assottigliata fino a risultare costruita su voce (e cori), semplici giri di chitarra, qualche rimbalzo di percussioni e un tenue sottofondo sintetico.
Ti vogliu bene assai ha un’apertura stumentale oscillante e quasi orientale, prima che la chitarra riprenda piede con lentezza ma anche con sicurezza.
Si procede con la più mossa La Sicilia Havi un Patruni, su ritmi da pop rock autorale, con un po’ di latin, un po’ di Battisti, un po’ di easy listening, un po’ di Iosonouncane (peraltro compagno di etichetta di PP).
Si finisce con Quannu Moru, testamento spirituale e chiusura del cerchio: nonostante il tema funereo, la reinterpretazione di Andrea Pulcini sembra pervasa più da speranze che da disperazione.
Mettere a confronto mondi diversi è sempre stimolante. E qui Persian Pelican si mette a confronto con un mondo lontano ma comunque presente nella sua visione, avendo l’umiltà di avvicinarsi ma senza smarrire la propria personalità.
Ne esce un disco sì rispettoso di una visione sofferta e vivida come quella di Rosa Balistreri, di una tradizione come quella popolare siciliana, ma riletto con tanta cura del dettaglio da risultare del tutto attuale.