Le interviste di questa rubrica vogliono dare uno sguardo un po’ più approfondito a molte, se non tutte, le professioni che ruotano intorno al mondo della musica. Quindi cantanti e chitarristi, naturalmente, ma anche arrangiatori, tecnici del suono, gestori di sale prove, addetti stampa, giornalisti, fotografi, registi di video eccetera. Per capire se e come sia ancora possibile “vivere di musica”.

Li vediamo sempre, all’inizio dei concerti, appostati sotto il palco a intercettare le espressioni più significative e curiose dei musicisti. Per come è intesa oggi la musica sarebbe decisamente difficile da comunicare se non ci fossero ottimi professionisti che scattano immagini, a volte anche in situazioni non proprio semplicissime: risponde alle nostre domande Roberto Ricciuti, fotografo italiano che oggi si trova a lavorare a Edimburgo, in Scozia.

Puoi presentarti in breve e descrivere la tua professione?

Ciao, il mio nome è Roberto Ricciuti e vivo da circa un anno a Edimburgo, dove lavoro come fotografo principalmente nell’ambito dei media. Ho una collaborazione con Getty Images per quanto riguarda i concerti e alcuni spettacoli teatrali, ma in generale lavoro soprattutto come freelance.

In Italia sono stato per tre anni il fotografo del MEI e ho fotografato molti concerti, anche se prima di emigrare mi ero dato uno stop di un anno. Ma il richiamo della musica è stato troppo forte.

Quali sono stati i tuoi primi approcci con il mondo della musica?

Se intendi a livello fotografico, il mio approccio è stato piuttosto casuale: fresco di corso di fotografia, un mio amico conosciuto proprio durante il corso mi chiese se lo accompagnassi a un concerto a fare delle foto per questa nuova rassegna indie, Salotto Muzika a Bologna.

Per me era una bella occasione per fare un po’ di pratica e risposi entusiasta, nonostante non sapessi nulla o quasi dell’indie italiano. Il concerto era quello di Moltheni all’Arterìa nel dicembre 2007. Mi presentai con il mio bel cavalletto in mezzo alla gente seduta e devo aver fatto anche ridere parecchie persone, immagino.

Fu una bella serata, ho conosciuto quella sera anche molta gente che in seguito è diventata importante per la mia vita, anche lavorativa, e mentre il mio amico si stufò quasi subito di fotografare ai concerti, per me è diventata col tempo sia una passione sempre più grande, sia un lavoro.

Hai avuto figure ispiratrici, qualcuno che ti abbia aiutato particolarmente, punti di appoggio senza i quali non avresti raggiunto i tuoi obiettivi?

Be’, di sicuro questo mio amico (Franz) è stato davvero importante per me e per le mie scelte, non soltanto in quell’occasione. Con il tempo ho imparato a guardare le foto di altri fotografi di concerti e a cercare di capire dove potessi migliorare, senza tuttavia copiare.

Molte persone con cui ho lavorato nel tempo sono diventate assai importanti per la mia crescita professionale, alcune di queste sono diventate amicizie molto consolidate, però il grazie più importante è per i miei genitori che mi hanno supportato in questo mio desiderio.

A livello fotografico i miei totem sono due fotografi che con i concerti non c’entrano nulla, anche se la passione per gli accostamenti di colore è nata proprio con loro: Steve McCurry e l’italianissimo Franco Fontana. Senza di loro, oggi probabilmente farei un altro lavoro.

Qual è la parte del tuo lavoro (se c’è) che detesti o della quale comunque faresti a meno?

Faccio un lavoro molto bello, ne sono consapevole. Molte volte penso che forse con altri lavori avrei avuto una solidità economica che tuttora non ho, ma probabilmente anche molte meno emozioni. Quello che meno mi diverte di questa professione è quando ti chiedono le foto gratis, cosa che purtroppo avviene abbastanza spesso, specialmente in ambito musicale.

Io rifiuto, ma vedo putroppo molta gente, spesso anche molto brava e che può permetterselo perché ha un altro lavoro, accettare di tutto, in nome di una visibilità spesso fine a se stessa. E questo sinceramente mi dà un po’ fastidio, perché abitua i clienti ad abbassare o ad annullare i budget fotografici.

Puoi raccontare qualche aneddoto particolare legato alla tua professione?

Be’ senza passione non puoi svolgere questo lavoro. E la passione spesso ti spinge a fare pazzie, come nel mio caso nel 2011, quando feci veramente di tutto pur di andare al Festival International di Benicassim, dove suonavano alcune tra le mie band preferite. In particolare ci tenevo a fotografare i miei idoli di qualche anno prima, gli Strokes.

Poco prima di entrare in pit per questo concerto, gli organizzatori si accorsero che avevano dato troppi pass e non potendo mandare via la gente decisero che anziché poter fotografare per le canoniche tre canzoni, avrebbero diviso i fotografi in due gruppi per una canzone a testa per ogni gruppo.

Ecco, il momento tanto atteso si riduceva a un’unica canzone col mio gruppo preferito: ero nervosissimo e conscio che non avrei potuto sbagliare. Oltretutto la nostra canzone venne suonata praticamente tutta quanti con il solo color rosso presente. Se ho superato quella situazione – il mio gruppo preferito, pochissimo tempo, tante persone attorno e le luci davvero basse – posso fotografare in ogni situazione.

Sei iscritto a enti previdenziali oppure organizzazioni di qualche tipo? E’ obbligatorio o facoltativo?

In Italia avevo la partita Iva ed ero iscritto alla Tau Visual che è una associazione che attesta che tu sei un professionista. Non era obbligatorio, ma di sicuro aiutava ad acquisire una certa professionalità. Qui in UK la situazione non è troppo dissimile, appena ho cominciato a vendere ho aperto subito, com’è giusto che sia a mio parere, il business.

Devo dire che qui di sicuro tenere aperta un’attività ha i suoi costi ma non sono paragonabili a quelli italiani, dove i liberi professionisti fanno davvero una fatica immane a sopravvivere tra le tante tasse che devono pagare. Questo però non giustifica, a parer mio, tutte quelle persone che si spacciano per professioniste ma che non hanno una situazione fiscale ben definita, specialmente quando lo fai da diverso tempo.

Consiglieresti a un giovane di provare a fare il tuo lavoro? Perché?

Si, lo consiglierei, ma a patto di avere tanta, tantissima pazienza e dicendogli di rispettare le regole, anche quando attorno a lui altri fanno quello che gli pare. Il nostro lavoro è un lavoro bello e maledetto, ambito da tanti che spesso si limitano a farsi la guerra tra poveri.

Ci vuole una passione infinita, e inizialmente un altro lavoro più sicuro, per poter un giorno riuscire a vivere di sola fotografia. Il mio consiglio maggiore è quello di rispettare sé stessi e gli altri: è una cosa che alla lunga, a mio parere, paga sempre.

Senza entrare nello specifico, puoi dare un ordine medio di prospettive economiche per chi fa un lavoro come il tuo nel 2014 e in Italia? Quanto si può arrivare a guadagnare, a grandi linee ma in modo realistico dopo qualche anno di professione?

Io ho aperto la mia partita IVA nel 2008. Senza dare troppi dettagli, in Italia il grosso delle mie entrate arrivava dai matrimoni e da eventi come fiere e meeting aziendali. In UK al momento sto lavorando con questa agenzia conosciuta e presente a livello mondiale (Getty Images) ma di musica se ne vende sempre troppo poca, magari è anche una questione di tempo.

Dire quanto si può guadagnare è un po’ difficile, perché ci sono periodi e periodi. In ogni caso una cosa la posso assicurare, difficilmente si diventa ricchi se non si fa altro. E i primi tempi di sicuro non ci si mantiene con la fotografia. Bisogna essere bravi col marketing e sfruttare al meglio le occasioni che si presentano, non svendendo il proprio lavoro. E credere tanto in se stessi, che è la cosa più difficile.

Che progetti e prospettive vedi per te in questo momento e per chi lavora nel settore musicale oggi in Italia?

Il settore è di sicuro uno dei più sovraffollati e poveri che ci sia, tuttavia resto ottimista che lavorando bene le soddisfazioni prima o poi arrivino. Gli ultimi anni sono stati particolarmente difficili e il modo di promuovere musica è in fase di cambiamento epocale: dai cd siamo passati a Spotify o a siti simili, oggi si vende poco nei negozi e i grandi gruppi vivono soprattutto con i live.

A mio parere non tutti i cambiamenti sono negativi, anzi. La musica non è mai stata così accessibile a tutti come ora: sono sicuro che un mondo senza musica (e senza fotografie) non sia possibile, ma dev’essere ben chiaro il rispetto per chi ci lavora in tutti gli ambiti.

All’estero da questo punto di vista, senza entrare nei soliti luoghi comuni, ho avuto l’impressione che ci sia più rispetto da parte di tutti. Nell’ambito fotografico, per esempio, solo chi ha il pass può entrare con una reflex nelle sedi dei concerti e il pass lo devi ottenere prima del concerto. Ovviamente ci sono anche qui molti telefonini accesi a riprendere i musicisti, ma a livello professionale noi fotografi siamo più tutelati.

Che tipo di musica ascolti nel tuo tempo libero?

Se per lavoro ascolto moltissime cose anche diverse tra loro (molte volte anche solo per prepararmi a un live che devo fotografare), negli ultimi anni sono sempre più orientato verso l’indie rock/pop e qui in UK ho trovato terreno molto fertile per questo.

Mi sono sorpreso della qualità altissima che ho trovato anche a piccoli concerti dove gli spettatori sono spesso di tutte le età. In ogni caso accanto ai miei gruppi preferiti (Arcade Fire, i primi The Strokes su tutti), ho avuto modo di conoscere qui una realtà scozzese e inglese molto valida. Qualche nome? Sto apprezzando molto i Frightened Rabbit, Admiral Fallow e Jake Bugg.

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