Esce per Atavic Records il nuovo album dei Caron Dimonio dal titolo Solaris. A un anno esatto dall’esordio Gestalt, il duo bolognese ed è stato anticipato nel web e in radio dal singolo “Imago Mortis”.
Il titolo dell’album è un omaggio al regista russo Andrej Tarkovskij e al suo film Solaris, in cui i protagonisti, all’interno di una navicella spaziale nelle vicinanze del pianeta omonimo, devono fare i conti con le proiezioni materializzate della loro memoria, del loro inconscio e delle loro paure che emergono durante il sonno attraverso i sogni, trasportandoli in uno stato di profondo malessere interiore.
Con la produzione artistica di Gianluca Lo Presti (Nevica Su Quattropuntozero) e l’apporto di Emilio Pugliese (batteria acustica) e Christian Rainer (che interpreta un testo in francese scritto da lui nel brano finale del disco “Nuit Sans Fin”), Solaris è “un incidente tra post-punk ed elettronica” (così il comunicato stampa).
“I testi sono in primis un’esperienza sonora, le tematiche affrontate vanno lette attraverso una chiave visionaria e surreale, il contenuto raggira la comprensione per penetrare direttamente nell’inconscio. L’inconscio è strutturato come un linguaggio, è come una rete che funziona secondo una logica, anche se non è quella dell’io cosciente. Il campo simbolico da lui creato produce degli effetti sul soggetto. L’inconscio è inteso come un’altra logica che funziona all’insaputa o quasi del soggetto” (Caron Dimonio)
Caron Dimonio traccia per traccia
E’ il pianoforte ad aprire le danze con la title track Solaris: “danze” piuttosto cupe e inquiete, peraltro. Filtra poco delle sensazioni trasmesse dalla traccia introduttiva fino al secondo passo, Imago mortis, se non un’inquietudine nemmeno troppo sottile, bagnata di elettricità e suoni sintetici, con un ritmo aggressivo.
Non così claustrofobica, a dispetto del titolo, Dentro il buco, che al contrario corre in spazi aperti, accompagnata da chitarre vicine a idee post punk e new wave. Leggermente più tranquilla, ma non meno new wave, E’ un mare, che anzi apre a percorsi sintetici e qui e là più oscuri nella seconda parte.
Si parlava di claustrofobia? Eccola qui: pur fra suoni elettronici piuttosto acuti, Siamo sassi entra in una galleria dalla quale si esce soltanto con la forza propulsiva delle chitarre che entrano nel discorso durante la seconda parte del pezzo. Salto nel blu mette su percussioni quasi industrial per fare compagnia a un giro di basso oscuro e insistito.
E dopo Intermezzo 1, ecco il passo marcato e pesante de La qualità del nulla, passo che segue la direzione della dark wave scuola Bauhaus/Joy Division, con una buona dose di rumore a fare da corollario. Giove accelera un po’ il discorso, si affida a qualche escursione di chitarra più in stile Cure.
Trascorso un altro Intermezzo 2 piuttosto embrionale, ecco una più decisa La noia che abbiamo di noi, che prende forme molto decise e delineate, con interventi ossessivi di varie tipologie a rendere affollato il panorama sonoro. C’è continuità nei ritmi con Nell’ora triste, che è sostanzialmente una seconda parte della canzone precedente. Il disco chiude le porte con Nuit sans fin, con testo (in francese) e voce di Christian Rainer.
Caron Dimonio confezionano un disco mutaforma, sfuggente a tratti e deciso in altre circostanze, con un carattere molto marcato e con sorprese mai fine a se stesse. Maturità e capacità di gestione del suono e dell’ispirazione fanno del disco un capitolo molto interessante della carriera del duo bolognese.