Recensione: Urali, “Persona”

Come sai perfettamente, “persona” in latino non significa persona, bensì maschera. Tuttavia non sembra questo il significato del titolo di Persona, secondo e nuovo disco di Urali, che esce oggi per To Lose La Track e Fallo Dischi. Urali, va detto, è Ivan Tonelli, attuale chitarrista dei Cosmetic e già leader degli Shelly Johnson Broke My Heart.
Melodico e rumoroso, nelle intenzioni come nella realizzazione, Persona racconta di persone reali, presenti nella vita di Ivan, che però con questo disco ne vuole dichiarare l’inconoscibilità (evidentemente non soltanto di quelle qui ritratte, ma di tutte le persone).
Il disco è stato registrato nell’estate 2015 presso Stop Studio e The Cold Storm Studio di Rimini, da Andrea Muccioli e Steve. Mixato e masterizzato da Andrea Muccioli e Urali presso Stop Studio. Prodotto da Urali, Andrea Muccioli e Steve. Testi e musica di Urali. Artwork di Daniele Castellano.
Urali traccia per traccia
Si parte da George (My king), ballad molto elettrica e piuttosto malinconica che comincia a fornire una prima impressione di album e band. Impressione confermata da Immanuel (we don’t have to work in dreams) che si può catalogare come post grunge, indie, alt-rock e in altre dozzine di categorie. Il pezzo ha un finale piuttosto isterico.
La galleria di ritratti prosegue con Frances (a New neighbour), in leggera elevazione come livello di rumore rispetto ai due episodi precedenti. Il mood si fa più oscuro con Hector (Horror vacui), che fa ricorso a qualche tratto acustico e abbassa la voce, dando adito a qualche sfumatura in più.
Il pezzo ha sostanzialmente una seconda parte con Hector (a Friend), che riprende i temi precedenti recuperando sul piano dell’elettricità ma lasciando spazi vuoti tra le sensazioni. Catherine (How to manage Anger) riprende le tendenze acustiche e morbide, anche se gli attacchi di aggressività sono sempre dietro l’angolo
LZ (A Year of Living Dangerously) invece sceglie di nuovo la via elettrica, con qualche interruzione di corrente qui e là. C’è un sentimento quasi folk alla base di Mary Anne (The Tailor), raro caso durante il disco in cui si usa qualcosa di simile alle percussioni.
Si chiude con Meadow (Nightwalk in Rome) che accetta influssi che arrivano dal cantautorato anche vecchia scuola, costruendo panorami notturni, delineati con una certa sensibilità, spazzata via dall’aggressione elettrica finale.
Lezioni che vanno da Nick Drake ai Band of Horses saltano all’occhio nel disco di Urali, che però rimane molto personale, autentico e sostanzioso. Ottima la personalità e ottimo il risultato per un disco che merita svariati riascolti.