Si chiama Giovedì l’esordio dei Rich Apes, quartetto dedito principalmente a spiazzare l’ascoltatore facendo uso di influssi jazz, funk, rock, progressive e altro.
Il disco contiene ben diciassette tracce, molte delle quali sotto i tre minuti, e otto delle quali strumentali. Ma tutte con un piccolo germe di follia non tanto nascosto tra le pieghe del brano.
Rich Apes traccia per traccia
Si parte con la breve Quando viene, che ha un atteggiamento tra punk e scanzonato. Più inquinata dal blues Mea Culpa, con un drumming articolato e vagamente jazz, è un cantato invece molto incisivo. Cambi di ritmo, tendenze psichedeliche e influenze progressive disegnano panorami piuttosto articolati.
Le pause di Mirco si articola su un ritmo sincopato e suoni piuttosto acidi, con inserti elettronici diversificati. Poi entra una chitarra zappiana/santaniana e gli anni 70 non sembrano più così lontani.
Si prosegue con Funkazz, titolo che esprime la miscela tra funk e jazz, nonché due minuti abbondanti di strumentale piuttosto elegante.
Verità prosegue sugli stessi toni, ma è cantata con utilizzo creativo della vocalità e con cori dai molti colori. La chitarra interviene a gamba tesa ancora una volta a mutare paesaggio.
In Looppolo invece la sei corde è protagonista fin da subito, seguendo rivoli di natura mutevole, con indubitabili influssi prog (c’è perfino il suono di un flauto).
Shicao presenta una faccia diversa, cioè la slide, della chitarra che persegue sonorità a metà tra il western e l’orientale, come entrare in un tex-mex e mangiare sushi (o viceversa).
Si resta su un orientale vibrante invece per Ventunmarzo, ulteriore strumentale dalle due facce, con la seconda meno intima e più impositiva, ma anche dalle sfaccettature folk.
Storia d’amaro si costruisce su chitarre acustiche, cori, storie scolastiche e una tessitura di suoni fitti e dall’armonia perfetta. La seconda parte della canzone sorprende per dolcezza.
Morbide anche le evoluzioni dello strumentale Via Mozart, mentre Grammelot si trova a disegnare sull’acqua anche con l’utilizzo della voce. Soft porno è davvero soft ( mentre sul resto non saprei), con chitarra acustica prima ed elettrica, e in effetti un po’ lubrica.
Molto incisivi i toni e ritmi di Oltre, dall’andamento ondivago ma capace di rigenerarsi in corso d’opera, mantenendosi comunque su suoni non estranei al math rock.
Si torna invece su toni barocchi con le evoluzioni di Celte notti (e se il governo si decidesse a introdurre l’arresto immediato per eccesso di calembour, certe cose non succederebbero). Attento è un avvertimento in forma di rock funkeggiante.
Danza bipolare mantiene quello che promette il titolo: un’apertura molto morbida e una seconda parte che trasforma l’atmosfera in quella di un ballo popolare di ascendenza folk-medievale.
Chiude Canto sovrano per piccoli pooh, che si configura come un’altra piccola stranezza del disco, fra canti simil-gutturali e percussioni rumorose.
Molte le facce dei Rich Apes, che sembrano spugne impegnate ad assorbire sonorità di provenienza e fattura diversa, per poi digerirle in versioni del tutto personali.
Va sottolineata anche la capacità, rara, di creare piccoli mondi che appaiono e scompaiono nell’arco dei due minuti di una canzone ma seminando sensazioni e suoni che lasciano un segno.