Una storia che si è spezzata qualche volta ma che ha sempre trovato la forza di rimettere insieme i cocci e di ripartire: i Ritmo Tribale sono un nome storico del rock italiano degli anni Novanta, hanno aperto la strada a tantissimi dei nomi di oggi e sono riusciti a ripartire di nuovo, ormai trent’anni dopo il disco d’esordio con Bocca chiusa, con date sempre più popolate.
Fino ad arrivare al MEI che ha conferito loro un premio speciale proprio per l’anniversario dall’esordio, e che li ha portati a suonare sul palco centrale. In formazione acustica e inedita, visto che soltanto il cantante e chitarrista Andrea Scaglia e il bassista Andrea “Briegel” Filipazzi saranno in scena, nonché pronti a rispondere alle nostre domande.
Il MEI ospita questa vostra data “speciale” a due: è il contesto giusto per continuare nell’operazione di “rinascita” dei Ritmo Tribale che state portando avanti da qualche tempo?
Tutta questa cosa sta nascendo giorno dopo giorno. E’ iniziata quasi per caso: noi abbiamo sempre continuato a vederci. Io, Briegel e Alex abbiamo avuto anche un side-project che si chiamava No Guru, qualche anno fa anche con Xabier Iriondo degli Afterhours.
Però fra i Ritmo ci siamo sempre visti. Siamo amici oltre che suonare insieme. Quasi per caso abbiamo fatto questo concerto un annetto e mezzo fa, ad aprile del 2017. Ci hanno chiesto di fare una “serata Bahamas”, una cosa un po’ particolare, perché è un disco particolare.
Da lì abbiamo ripreso lo slancio per riprendere a fare delle cose, ma sempre avendo ben chiaro il fatto di porci dei traguardi a breve termine, per evitare di pensare a progetti troppo a lungo termine che potevano essere disattesi.
In questa dimensione alla fine abbiamo trovato un bell’equilibrio. Adesso al MEI ci hanno premiato, ci sono i 30 anni di Bocca chiusa, siamo molto orgogliosi ed è tutto bellissimo. Ma noi non vogliamo fare la cover band dei Ritmo Tribale.
Quindi stiamo cercando di proporre delle cose nuove. Ma ripeto: sempre tutto sull’onda di quello che nasce momento dopo momento. Quindi più che un’operazione rilancio è suonare insieme e vedere cosa ne esce. Senza avere un progetto così strutturato: abbiamo già dato. Gli scazzi con le case discografiche… Abbiamo già dato.
Adesso ci va di suonare, di suonare cose nuove, di proporci per come siamo adesso. E vediamo cosa ne esce, ci stiamo divertendo molto, abbiamo fatto dei concerti, è venuta gente. Bello. Sempre passo dopo passo.
C’è un passo che prevede un lp imminente?
Noi abbiamo registrato quattro pezzi: due originali e due cover, però con il testo in italiano, adattate a noi. Sicuramente uscirà qualcosa: per ora il discorso era di fare una chicca, un vinile, a tiratura abbastanza limitata.
Però il discorso del “passo dopo passo” potrebbe portarci anche a registrare altri due pezzi, in autunno, e far sì che diventino sei. Sicuramente comunque uscirà qualcosa da qui a gennaio.
Il nome del progetto gliel’abbiamo già data, ed è La Rivoluzione del giorno prima, titolo di uno dei due pezzi nuovi. Perché parliamo di quello che siamo noi, delle aspettative deluse e del fatto che la nostra era una generazione che prometteva di spaccare tutto ma che alla fine è rimasta un po’ sulle gambe.
In concerto chi è il vostro pubblico di oggi?
Per ora è inevitabile, visto che abbiamo fatto tutto in maniera molto molto casuale e casalinga, che il tam tam abbia toccato soprattutto gente della nostra generazione, i vecchi fan dei Ritmo. Certamente abbiamo trovato con nostra sorpresa anche dei ragazzi. Però il grosso è di chi già conosceva i Ritmo.
I giovani magari sono figli dei nostri fan, o magari qualche ragazzo che, ascoltando musica rock, è andato a cercare… Chi ascolta rock va a cercare anche un po’ le origini. Così ci sono ragazzi sui 30 anni, 35 che ascoltano magari i Ritmo ma non ci avevano mai visto dal vivo.
Adesso continuando a girare qualcun altro si può avvicinare alla nostra musica. Diciamo che non ce la meniamo su chi ci viene a vedere. Per ora la gente che ci viene a vedere è contenta.
A proposito di “figli”, conoscendo bene l’ambito indipendente attuale trovo che tante band di oggi vi debbano qualcosa… C’è qualcuno che vi piace molto?
Sì, i Ministri. Che sono molto Ritmo Tribale secondo me, anche se ovviamente hanno un linguaggio che è attuale, però come attitudine sono il gruppo che sentiamo più vicino.
Anche gli Zen Circus ci piacciono come approccio, come canzoni. Adesso giustamente la nuova generazione ha un altro tipo di gusti, di orecchio, di ascolti, ma le band che fanno rock sono sempre ammirevoli, anche se un po’ fuori dal tempo.
Il rock sta risentendo questa trasmigrazione dei giovani verso altri tipi di musica come l’hip hop o la trap. Anche se ci sono molti rapper che stanno suonando dal vivo. Per esempio Salmo: anche Salmo ci piace molto.
Il fatto di suonare con una band ritorna un po’ al concerto. Proprio Salmo dal vivo è uno che picchia. Dal vivo sembra i Rage Against the Machine. Anche perché lui arriva dall’hardcore.
Proprio a proposito di hardcore, che tutto sommato è il genere dal quale venite e che in qualche modo avete portato in Italia tra i primi. Perché oggi le band hc giovani o cantano in inglese o ricorrono allo screamo, rendendosi quasi sempre poco comprensibili?
Negli anni Ottanta quelli che suonavano in Italia hardcore, al di là dei Ritmo Tribale penso proprio ai Negazione, ai Kina, avevano l’esigenza di rimarcare la loro identità. Si presentavano sulla scena dicendo: “Noi siamo italiani, cantiamo in italiano”.
Adesso questo tipo di cosa, direi anche per fortuna si è un po’ sciolta (anche se il governo attuale sembra voler rimettere degli steccati molto alti), è tutto molto più fluido, inevitabilmente un italiano, un tedesco e un inglese non hanno più l’esigenza di rimarcare da dove vengono, per cui cantano nella lingua comune che è l’inglese.
Per quanto riguarda i contenuti è vero che un certo tipo di ribellione e un certo tipo di urgenza si è indirizzata verso altri tipi di musica. Io (Scaglia, NdR) ho un figlio di quindici anni: lui è incazzato e ascolta il rap. Quello che vive nel quartiere lo sente nel rap. Il nuovo hardcore è lì.
I gruppi hardcore attuali risentono magari dell’influenza americana tipo i Blink, che è molto più “fun”, meno legata ai problemi.
Ragazzi una domanda obbligatoria di chiusura, lo sapete già…
Stefano! (Stefano Rampoldi, il cantautore Edda, ex cantante della band tra il 1984 e il 1996, in varie occasioni riavvicinatosi e riallontanatosi dalla band). Ma Stefano ha la sua storia, gli va benissimo, fa una musica che noi non faremmo, è la vita che va avanti.
Va bene così. Posto che siamo tutti molto contenti che le cose gli vadano così bene, anche perché io personalmente (sempre Scaglia, NdR) ritengo che Stefano sia la voce più bella che ci sia in Italia dal punto di vista cantautorale adesso, non avremmo più dei link in comune.
Ma non per una questione di scazzo: non abbiamo litigato. Abbiamo suonato insieme un paio di volte, e lui con i volumi non è più abituato, ci diceva: “Suonate alti ragazzi, troppe chitarre…”
Siamo proprio distanti come genere musicale, noi siamo molto contenti che lui vada bene, ci dispiace che magari a volte anche il tempo modella i ricordi in maniera diversa. Quindi è vero che ci è dispiaciuto sentire lui che criticava un po’ gli ultimi tempi con i Ritmo perché non era così.
Però va benissimo, lui ha preso una strada, molto diversa dalla nostra, ci sembra difficile poterci riincrociare perché abbiamo proprio un’attitudine diversa adesso. Speriamo che il prossimo disco confermi la bellezza dei dischi che Stefano ha fatto fino adesso. Va bene così.