Si chiama La via del Silenzio il nuovo ep di Stefano Dell’Amico, musicista e cantautore emiliano che dopo una vasta esperienza anche come membro di band e collaboratore di altri artisti, ha iniziato a presentarsi in prima persona. Gli abbiamo rivolto qualche domanda.
Puoi raccontarmi la tua storia?
Ho iniziato a 8 anni a studiare musica, pianoforte. Dato che ho sempre avuto passione per quest’arte fin da piccolino, ascoltando la radio ed i dischi di svariati interpreti italiani che mi passavano i vicini (i 45 giri nel mangiadischi!), appena ne ho avuto l’occasione ho espresso ai miei genitori il desiderio di iscrivermi alla scuola di musica di Guastalla, dove insegnava il Maestro Lamberti, una figura indimenticabile, un compositore estremamente dotato.
Dopo qualche anno ho cominciato a interessarmi ai sintetizzatori (gli ascolti musicali erano un po’ cambiati nel frattempo) e a fare le prime esperienze con un gruppo locale di miei coetanei. Mi è servito per imparare da loro a suonare in gruppo, conoscere gli altri strumenti e a “tirar giù” (come si diceva) le parti delle canzoni dai dischi.
In pratica ho portato sempre avanti parallelamente la musica classica e quella leggera (non uso il termine “moderna” perché non mi è mai piaciuto, come il definire musica “seria” quella da conservatorio).
A 15 anni insegnavo già nella scuola di musica dove avevo iniziato io e anche privatamente; nel frattempo ero stato ammesso al Conservatorio di Mantova, contemporaneamente al proseguire la scuola superiore (geometra). Per la cronaca, mi son diplomato, ma non ho mai usato quel pezzo di carta per lavoro: non ero proprio portato!
Successivamente ho avuto tante esperienze con diverse band, in particolare “Il letto a strisce” (col quale ho partecipato alla prima edizione di Arezzo Wave) e “Alternative Quartet”; con questi ultimi facemmo il primo nostro tour da professionisti con Marco Ferradini nel 1990. Lo stesso anno, precedentemente, avevo suonato in tour con i CCCP.
Da Ferradini ai CCCP: diciamo che la versatilità non manca…
Il primo vero disco a cui ho partecipato come strumentista ed arrangiatore è stato “Astrologia” (1988, appena diplomato in pianoforte) del cantautore mantovano Luca Bonaffini (allora collaboratore di Pierangelo Bertoli).
Nel 1991 mi sono trasferito a Luzzara e ho iniziato a dedicarmi alle mie musiche, allestendo gradualmente il mio studio di registrazione.
La passione per gli strumenti elettronici mi ha portato a studiare e riproporre in concerto le musiche di Jean Michel Jarre per qualche tempo; dopodiché ho realizzato nel 1994 il mio primo cd “Colors” con brani strumentali (allora venivano catalogati come New age).
Da allora fino al 2000 ho suonato con altre band, scritto musiche per programmi RAI (insieme al Maestro Uberto Pieroni) autoprodotto un altro mio cd strumentale e continuato l’attività didattica.
A un certo punto è nata l’esigenza di scrivere canzoni e cantarle io stesso. Ho fondato un gruppo (Eden4Ever) col quale abbiamo partecipato a Help e arrivati in finale al XII° Festival di San Marino.
Nel 2002 una canzone che avevo composto e suonato col gruppo viene scelto per essere inserito in una compilation di gruppi rock nazionali con varie contaminazioni, dopo pochissimo che si era sciolto.
Quindi, dopo questa esperienza, mi sono dedicato maggiormente ai lavori con lo studio di registrazione e alle lezioni private, saltuariamente alla composizione di brani strumentali.
Nel 2009 ho realizzato il primo disco di Hang in Italia (strumento artigianale a percussione intonata costruito in Svizzera), suonato da Paolo Borghi, con diversi ospiti, tra i quali il sottoscritto al pianoforte.
Con Paolo abbiamo poi realizzato il cd “Mercanti di sabbie” unendo l’elettronica pura all’Hang e percussioni etniche.
Arriviamo quasi ai giorni nostri e questo ci porta alla produzione recente, dove ho ritrovato lo stimolo per la scrittura di testi e canzoni.
Tutto in autonomia, senza aiuti o collaboratori esterni, il risultato è stato triplice: un cd di canzoni, quasi una raccolta, che chiude un ciclo del mio modo di scrivere brani di matrice “pop classico”, un ep che rappresenta un ponte che getta le basi per il mio futuro musicale e di ricerca sonora, e una suite elettronica sperimentale.
Come e perché sei approdato dallo strumentale al cantato?
E’ stato un passaggio naturale, un’esigenza nata come terapia legata a esperienze personali, le quali mi hanno spinto a scrivere parole, prima frasi brevi, poi sempre più articolate, fino ad arrivare a testi completi.
Nonostante sia sempre del parere che la musica strumentale sia un linguaggio universale (non limitato dall’idioma usato) che dà maggior adito e spazio alla fantasia e fa provare emozioni diverse (a volte diametralmente opposte da quelle del compositore), il cantare nasce come lo sgorgare di sensazioni e sentimenti che prendono voce, pretendono di essere ascoltati così come sono.
Ho sempre scritto di argomenti autobiografici, ma ho scoperto che poi tra gli ascoltatori c’è chi ha condiviso (in parte o totalmente) situazioni simili, quindi non mi son più posto dubbi sul cambiare e scrivere di altro.
Le prime canzoni le ho scritte in età adolescenziale (penso sia un classico) e le cantavo pure con la mia band di allora, prettamente in inglese (lingua che ho sempre amato e studiato fin da ragazzino); c’è voluto poco meno di un ventennio affinché riaffiorasse la spinta a scrivere testi.
Non me lo spiego nemmeno io. La scelta della lingua italiana rispetto a quella inglese è stata una sorta di sfida: primo per un motivo di arrivare a più persone, dato che vivo qui, secondo perché è molto più facile in inglese, scorre meglio, nel cantare sei più facilitato nell’impostazione e altro ancora.
Mi hanno detto che sono molto convincente quando ascoltano le mie canzoni in inglese, e immagino che quello che sto proponendo sarebbe più adatto alle sonorità che mi son prefissato usare, ma per ora ho intenzione di continuare a lavorare e studiare un modo possibilmente più mio in italiano.
Che tipo di periodo fotografa questo ep?
L’ep La via del silenzio è il reportage di un difficilissimo periodo, costellato di dolore, ansie, riflessioni che scavano a fondo nell’intimo dell’uomo, della sua condizione sociale e personale; la solitudine e la difficoltà di convivere in un tempo che scorre troppo velocemente, bruciando tutto e tutti, affogando i valori più sacri ed eterni dell’umanità intera.
E’ un grido silente. Ho imparato che è meglio il silenzio alle parole di fronte a situazioni o persone di un certo tipo. Non ho più tempo né voglia di cercare una mediazione quando dall’altra parte trovi un muro.
E… sì, c’è molta rabbia. Trovo che solo un pazzo o un mentecatto di questi tempi abbia voglia di sorridere o non provi rabbia per tutto quello che ci sta succedendo intorno, che non sia preoccupato o non venga sfiorato dal danno che ci stanno procurando senza ritegno. Non si tratta di pessimismo, ma di realismo. Il pessimista è un ottimista ben informato, ha detto qualcuno.
Hai accompagnato le canzoni dell’ep anche con alcuni video, postati su YouTube: che tipo di esperienza è stata? Nascono da tue idee o ti sei fatto aiutare?
I video che ho creato personalmente con i pochi mezzi a disposizione (e con poca esperienza in questo campo) sono dei promo, sia per la qualità che per la “regia”.
Mi attrae molto l’arte cinematografica e i videoclip in particolare, ma più che altro sono più dotato di idee che di capacità di metterle in pratica, soprattutto per i mezzi che mi occorrerebbero!
Volevo comunque realizzare qualcosa in questa era del video: in alcuni ho cercato dei videoloop gratuiti che potessero avvicinarsi anche simbolicamente al testo, in altri ho preferito lasciare un’immagine fissa.
In un futuro spero di avere la possibilità di collaborare con qualcuno che possa aiutarmi a farne almeno un paio professionali. Purtroppo è sempre una questione di soldi: oggi come oggi tutto ha un prezzo, anche la visibilità sui social network può essere comprata, ma a che pro?
Preferisco contattare la gente personalmente ed invitarla all’ascolto per apprezzare la mia pagina artistica, almeno so che a loro piace veramente!
Nei tempi “d’oro” il disco era un punto d’arrivo, ora è scontato che tu abbia un cd; ci si deve occupare di tutt’altro e per farlo devi sbagliare sulla tua pelle, perdendo tempo e a volte anche denaro.
Non mi sono ancora abituato a questo metodo di promozione. Sono un po’ all’antica, e sinceramente mi trovo più a mio agio tra gli strumenti a comporre che in Public Relations.