Si chiamano Feat. Esserelà e il loro primo disco, Tuorl, è appena uscito. Il trio strumentale di provenienza bolognese spazia tra jazz, rock, progressive (loro lo chiamano ProgRockJazzFusionFunkAcid, ma come si vedrà hanno qualche problema con titolazione e simili). Il disco comprende undici tracce molto vive e con nessun rispetto per le barriere tra i generi.
Si apre con Don’t Leave Your Dinosauri at Home, che mette già sul piatto gli elementi con cui si costruirà il resto del disco: il suono dell’hammond, la chitarra che veleggia libera di portare i propri assoli a conseguenze estreme, e una batteria che tiene insieme il tutto.
Moderato il ritmo di Canguros de la Ventana, e nemmeno troppo saltellante rispetto ad altri pezzi del disco. Con What a (Tetra) Pak il gioco si fa più acido e funk, con assoli a tradimento e il lavoro di drumming molto più intenso e a carattere variabile.
Il nostro batterista ha un buco nella gamba (va be’) si consuma in progressione su una corsa in linea che vede i tre strumenti schierati in pista e affiancati fino a un finale bruciante.
Un duettré qqua, dopo alcuni movimenti all’oscuro, lascia il proscenio a una fiammeggiante Stratocaster che disegna arabeschi prestigiosi, prima che pianoforte e hammond tornino a occupare la scena.
Da progressive i movimenti tornano al jazz con Clop, che però ha un’introduzione irresistibile di basso e di suoni tremendamente vintage, passeggiando nei giardini del Santana di Abraxas. Poi bisognerebbe parlare anche del passaggio hard rock con effetti ed echi verso metà pezzo, ma qualche sorpresa è meglio lasciarla.
Una nota più grave apre SRLA, che nel complesso suona epica, con rulli di tamburi e note di tastiera cosmico/fantascientifiche. Arriva anche la chitarra a inacidire il discorso e a rendere più fluido e discorsivo il finale.
Chitarra che torna protagonista in Stichituffelpa Rampa Esserelà Tum Perugia (l’autore di titoli come questi andrebbe quantomeno segnalato a piede libero) danza furibonda che include tutti gli strumenti in una corsa molto intensa.
C’è bisogno di riposare nell’introduzione di No, ma soltanto nell’introduzione: il pianoforte torna ad accelerare i tempi e a seguito arrivano i piatti della batteria e la chitarra, con i bassi che intervengono in un secondo tempo ad alimentare il crescendo, in un pezzo allungato che vive molte vite differenti.
Ed ecco Anche Cotoletta, impanata con suoni di chitarra, fritta in olio di pianoforte, insaporita da un drumming molto efficace e mai troppo invadente.
Loop o’ pool è la session che chiude il disco, incentrata su un riff ripetuto più volte. Con una sorpresa finale che proprio non si riesce a descrivere.
Una grande abilità strumentale non sempre va a braccetto con altrettanta passione, ma qui ci sono tutti gli elementi per un disco ricco di sensazioni positive, eseguito con perizia e appassionato quando il momento lo richiede.
Purtroppo poi c’è il problema dei titoli, ma pazienza. Il caleidoscopio (erano vent’anni che non scrivevo “caleidoscopio”) dei Feat. Esserelà propone tali e tanti colori che si può far finta di niente anche su un problema evidente come quello della titolazione.
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