Si chiama Cambio palco il secondo disco d’inediti dei Turkish Cafè: la band marchigiana formata da Veronica, Julián e Simone, grazie a una positiva campagna di crowdfunding, è riuscita ad autoprodursi un album composto da undici brani più una bonus track (versione inglese con testo diverso, di un brano della tracklist).
Il disco è poi arricchito da collaborazioni e ospiti per ogni brano, come Erriquez, frontman della Bandabardò, in “Il tempo che ho perduto”.
Turkish Cafe traccia per traccia
La traccia d’apertura è Controlla, molto ritmata, con una certa semplicità di fondo ma anche con molta passione e con un grande numero di ospiti. Siamo in piena vaudeville con Il tempo che ho perduto, che ha toni baldanzosi e tzigani, con il contributo di Erriquez dei Bandabardò alla voce.
Segue un’elaborata ma leggera L’amore cade addosso: il tratto maggiormente distintivo è, senza discussioni, la voce di Valentina, ma ciò non significa che il lavoro strumentale, molto sottile come una trama che corra sotto pelle, debba passare in secondo piano.
Giravolta a 180 gradi per Sto piangendo, che si addentra in tonalità più oscure ma non disperate (a dispetto del titolo), qualificandosi come ottima canzone pop nel rispetto della tradizione italiana, ma senza essere addormentata sui cliché della canzone italiana. Specchio si costruisce su uno sforzo d’insieme, come in una danza campestre d’altri tempi che cresca piano piano.
Johnny The Seahorse è una ballata dai toni folk e acustici che aggiunge elementi seguendo il percorso del brano: gli elementi sono sempre semplici, ma giustapposti nel modo migliore compongono costruzioni interessanti.
Curiosa, arricchita da un lavoro costante degli archi e da ritmiche non rettilinee, nonché dai sapori d’Oriente Porcellana fragile, tra i brani più intriganti dell’album. Sorridi ripristina idee profondamente melodiche, con un approccio orchestrale e crescendo successivi, anche qui, di archi.
Si cambia passo con Locanda San Rocco, che si divide tra un testo di sapore teatrale e un’atmosfera da musical americano. Fuoco sacro è più ritmata e aggressiva, con chitarre acustiche in funzione percussiva e la voce a tenere insieme gli elementi della canzone. E’ poi la volta di C’è, melodica e tenera al massimo grado, che rappresenta una certa continuità con A Million Years, versione inglese di Sorridi.
I Turkish Cafe confermano quanto di buono si conosceva già di loro e rilanciano con qualche carta in più: le molte collaborazioni del disco non distongolo la band dal focus centrale e non si traducono in una collezione di “featuring”, anzi regalano ciascuna un pezzetto di luce in più al mosaico complessivo. Prova buona anche per orizzonti mainstream, qualora interessassero.