Winter dies in June, “Penelope, Sebastian”: la recensione

winter dies in june

A circa quattro anni di distanza dall’esordio The Soft Century (2014), la giovane band emiliana dei Winter Dies In June torna sulle scene con un concept album che racconta la sua storia al contrario, partendo dalla fine. Penelope, Sebastian è la storia di un legame, tra due persone, ma anche tra quelle persone e i luoghi che li hanno raccontati.

Il disco è stato registrato tutto in presa diretta ma in due studi differenti, sia come posizione geografica che come densità sonora. L’analogico della Sauna Studio con i suoi compressori, equalizzatori, il suo bel banco con i preamp che scaldano e rendono colloso e tattile il tutto, i reverberi Vermona che hanno innaffiato chitarre e voci, si alterna al Big Pine Creek.

Winter dies in June traccia per traccia

Tutta la portata delle influenze intrnazionali si mostra fin dalle prime battutte di Aeroplanes, introduzione velata di malinconia ma anche piuttosto voluminosa, con drumming robusto e sincero.

Più sfumati i contorni di Sands, in cui il synth si porta sul proscenio, almeno nelle prime battute. Echi 80s e 90s emergono nel procedere della canzone, che ha polmoni consistenti e un bel respiro.

Sebastian nasce da idee folk molto minimali, ma come spesso nel disco le canzoni non hanno uno scenario fisso, piuttosto cambiano e si trasformano in corsa, proprio come gli umori delle persone.

La chitarra torna/resta protagonista con Boy, che ha passo molto sostenuto, senza che questo vada in conflitto con una gentilezza di fondo comune a tutto il disco.

Nowhere è zuccherosa, soprattutto per i suoni del synth, ma chiude con potenza. Space sceglie profili robusti e riporta il drumming al livello di superficie, pur consentendosi qualche variazione in campo dreamy.

Penelope allunga i tempi e si rivela languida, anche se con una forza che si allarga. Molto più concentrata, soprattutto all’inizio la finale Different, che si basa soprattutto su voce e chitarra classica, anche se la voce si moltiplica in cori. La seconda parte del brano riprende vigore, come a voler chiudere su toni più vibranti.

Gli Winter dies in June si regalano un disco molto consistente, semplice di base ma costurito con coerenza ed efficacia. E anche estremamente gradevole al palato, il che non guasta.

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