FelpaFoto2Dopo l’abbandono, la paura: Daniele Carretti, in arte Felpa, prosegue il proprio percorso solista, lontano dagli Offlaga Disco Pax di cui fa parte, tra le negatività della vita (qui la recensione di Paura). Lo abbiamo intervistato.

Perché un disco intitolato alla paura? Pensi che sia questo uno degli elementi portanti del periodo in cui stiamo vivendo?

Era un normale continuo dell’ “abbandono” presente nel disco precedente. La paura dell’essere soli e il non sapere bene come rapportarsi con quello che verrà dopo.
La paura è una sensazione presente in tutti noi, bene o male continuamente, e non credo che ci siano periodi in cui è più o meno presente, certo negli ultimi anni c’è un enorme senso di vuoto e precarietà che difficilmente lascia scorgere un futuro più o meno roseo e quindi la presenza di certe sensazioni che ci riconducono alla paura è più forte che in altri periodi.
Il processo di lavorazione del disco è stato piuttosto lungo: normali processi di lavoro oppure hai incontrato qualche difficoltà particolare?

Be’, non più di tanto, dall’uscita di un disco all’altro è passato sì e no un anno e mezzo… direi che ho lavorato abbastanza velocemente, che poi in realtà mi sono preso il tempo che ritenevo necessario, contando che solitamente un 3 anni buoni tra i dischi degli Offlaga ci sono sempre stati.

Diciamo che il disco è venuto pronto quando sono stato sicuro di avere tutti i pezzi al loro posto e quello che volevo esprimere era come e dove doveva essere.

Mi incuriosisce in particolare “Paura mai”: come nasce la canzone?

E’ una delle prime canzoni che ho scritto per il disco nuovo, come per le altre è nata prima la musica poi ho lavorato a un testo che potesse congiungersi con le musiche e con quello che le musiche volevano esprimere.

Contrariamente alla maggior parte degli altri miei brani ha un non so che di brioso e “allegro”, se non che quello che volevo esprimere non era allegria o spensieratezza, c’è una ricerca per non aver paura, cercare di trovare un modo di non averne e rimanere vicino nonostante tutto, quasi sempre inutilmente. Riascoltandola mi vengono in mente i Cure, più o meno.

Perché hai scelto di fare la cover di “Rimmel”? E perché non l’hai inclusa nel disco? 

Rimmel rimane da sempre una delle mie canzoni italiane preferite di sempre e ho sempre desiderato riuscire a trovare un modo per esprimere una mia visione della canzone.

Ora il risultato riesce a farla in parte mia e darle l’atmosfera giusta per come l’ho sempre vissuta ascoltandola, non che l’arrangiamento e i suoni dell’originale non vadano bene, ma semplicemente ho voluto dare una mia visione delle sensazione che mi ha sempre provocato quella canzone.

Nei dischi preferisco mettere canzoni mie, non di altri, non ho mai sopportato e o capito l’inserimento di cover in dischi.

A prescindere dall’attitudine vicina al contesto non trovo che una cover possa sostituire un brano scritto dall’artista stesso, quindi non riesco ad apprezzarne la presenza… a meno che si tratti di dischi di sole cover, dove chiaramente il messaggio e il percorso è diverso. Lo spazio come lato B di un singolo è ottimale per i riarrangiamenti di brani altrui.

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