Gli ultimi cinquant’anni della musica italiana offrono una panoramica ricca e sfaccettata. Dal fervore espressivo legato ai contesti culturali e politici all’avvento dei social media, musicisti, cantanti e ascoltatori hanno trasformato radicalmente il loro approccio, e tutto lascia presagire un’evoluzione continua.
Di queste trasformazioni abbiamo discusso, per uno dei nostri #sottotraccia, con Gian Piero Alloisio, figura di spicco nel panorama artistico italiano, che si è sempre distinto per la sua poliedrica attività che spazia dalla musica al teatro. La sua carriera, iniziata nel 1975, lo vede affermarsi come cantautore e drammaturgo, unendo in modo originale queste due forme espressive. Questa duplice identità artistica è un tratto distintivo che lo ha accompagnato lungo tutto il suo percorso professionale.
“Dagli anni ’70 a oggi, il panorama è completamente mutato – racconta -. Quando ho iniziato con l’Assemblea Musicale Teatrale, un gruppo di rock progressive, eravamo immersi in una società in piena effervescenza culturale e sociale. I movimenti studenteschi, operai e femministi animavano un’intensa attività politica e sociale che si rifletteva anche nella musica. Noi facevamo circa cento concerti all’anno e vendevamo direttamente migliaia di copie dei nostri dischi.
Era un’epoca in cui una generazione cercava figure di riferimento come Francesco Guccini e Giorgio Gaber, con cui ho avuto il privilegio di collaborare. Quella dinamica, quel bisogno di una generazione di essere educata e nutrita da maestri, quel ruolo di veicoli di cultura attraverso la canzone, oggi non esiste più. Le canzoni nascevano da una sfida culturale, non solo con l’obiettivo di intrattenere o di raggiungere la fama: in quel periodo nasceva il Club Tenco, per dare spazio a chi proponeva canzoni ‘diverse’ dal sistema e dall’industria.
Questo contesto ha generato i grandi cantautori, da De André a Dalla, da Finardi a Battiato, che si erano assunti la funzione di trasmettere cultura, riflessioni sociali e civili. Allora, prima di tutto, si scriveva per la propria esigenza espressiva, perché ci si sentiva investiti di un dovere. Questa spinta è durata fino a Lucio Dalla e Franco Battiato, influenzando molti artisti. Pensiamo a Battiato: è stato senza dubbio un artista che ha voluto diffondere concetti di spiritualità ed esoterismo, trasmettendo una cultura precisa attraverso la sua musica e le sue canzoni, quasi con uno scopo, un messaggio. Allora si parlava di ‘messaggio’, ora quella cultura nelle canzoni sembra essersi persa”.
Una proliferazione di canzoni
A ridefinire il contesto sono stati prima il movimento rap e hip hop, poi la tecnologia: “Il rap esprimeva il disagio delle periferie, la trasformazione delle città industriali, la crisi del lavoro. Non c’era più l’impegno civile dei cantautori, ma un forte racconto della realtà sociale, seppur da una prospettiva differente. La terza grande ondata è stata la rivoluzione tecnologica e dei social media, che ha stravolto produzione, promozione e diffusione. Oggi ogni giovane artista può auto prodursi, farsi conoscere e magari raggiungere il successo, come ha dimostrato Alfa durante la pandemia. Questo ha portato a una proliferazione di canzoni, ma spesso manca il supporto fisico; il disco è diventato quasi un oggetto da collezione”.
Ma quali sono le caratteristiche di questa vasta produzione musicale attuale? “Dal mio osservatorio privilegiato, grazie alle centinaia di canzoni che ascoltiamo ogni anno per il concorso ‘Genova per Voi’ – racconta ancora Alloisio – noto che quasi nessuno affronta tematiche legate al mondo che ci circonda. In un momento storico di profondi cambiamenti, la stragrande maggioranza dei brani si concentra sull’esperienza personale dell’autore, spesso in modo omologato: storie d’amore tormentate, desideri, un certo vittimismo o un’euforia superficiale. Manca la volontà o la capacità di raccontare la società.
Da un lato c’è un pubblico che, forse intimorito dall’incertezza del futuro, cerca conforto e leggerezza. Dall’altro, la fruizione stessa della musica è cambiata: sui social è necessario catturare l’attenzione in pochi secondi. Questo rende difficile sviluppare temi complessi come accadeva nelle ballate degli anni ’70, che potevano durare anche cinque o sei minuti. Non è necessariamente una “colpa” degli artisti, ma è la realtà del mondo attuale che ha ridefinito le regole. Il suono e la produzione sono diventati prioritari, spesso a discapito del testo.
C’è sempre stata una dialettica tra intrattenimento e canzone “impegnata”, ma oggi sembrano mancare i “filosofi della canzone”. Da quando ho iniziato a fare musica, nell’epoca d’oro della canzone d’autore, sono cambiate le dinamiche produttive e il modo di fare musica, e non intravedo molte possibilità di contrastare questo fenomeno, a meno che i giovani non trovino un modo geniale per comunicare attraverso slogan o aforismi incisivi in canzoni molto popolari, che riflettano la realtà del mondo.
Per ora non ci riescono: sanno far ballare, intrattengono e creano “vestiti” perfetti per molti interpreti, ma non riescono a trasmettere un messaggio profondo. Per questo Lucio Corsi appare profondissimo, ma ai miei tempi il suo messaggio sarebbe stato percepito come normale, di semplice gentilezza; in questa società, un piccolo messaggio diventa profondissimo, laddove un tempo sarebbe stato giudicato lieve e forse, per eccesso di rigore, un po’ superficiale”.
“Genova per voi” e i “fiori all’occhiello”

Attraverso la kermesse “Genova per Voi”, che ogni anno lancia autori di successo come Federica Abbate, Gian Piero Alloisio ha indubbiamente una prospettiva privilegiata sul panorama musicale contemporaneo: “Provengo dal mondo del teatro canzone, da una lunga collaborazione con Gaber, dove il progetto culturale era centrale. “Genova per Voi” ha formato professionisti capaci di scrivere hit di successo che vendono moltissimo, anche se non necessariamente “impegnate”.
Hanno un’altra cultura, quella della produzione moderna, del suono e della capacità di creare canzoni perfette per gli interpreti. Il ruolo dell’autore, poi, è spesso nell’ombra: Federica Abbate ha collezionato successi straordinari per anni prima che il pubblico conoscesse il suo volto. È l’autrice italiana più importante di sempre per numeri e impatto, ma si fa fatica a riconoscerlo pienamente, c’è sempre una certa diffidenza. Credo che se fosse stato un uomo, avrebbe ricevuto un trattamento diverso”.
In un mondo sempre più dominato dallo streaming, le case discografiche continuano a svolgere un ruolo significativo sulle proposte musicali: “Hanno smesso di coltivare i “fiori all’occhiello”. Un tempo investivano anche su artisti non immediatamente commerciali ma culturalmente rilevanti, come la EMI con Guccini o la RCA con Piero Ciampi, perché rappresentavano un punto di riferimento. Oggi l’industria tende a replicare formule di successo piuttosto che investire sul talento diverso e particolare. Manca quella funzione di scouting culturale e di trasmissione del sapere tra le generazioni”.
Ma come si collocherebbe un artista come Fabrizio De André se iniziasse oggi la sua carriera musicale? “Se nascessero oggi musicisti con quella profondità di scrittura, probabilmente dovrebbero utilizzare il rap o l’hip hop per esprimere pensieri complessi. È in questi generi che oggi trova spazio la parola “pesante”. Nella canzone pop tradizionale è diventato difficile. La cultura nasce dalla parola, e se la musica la relega in secondo piano, si verifica un impoverimento.
Forse la sfida è trovare una via “tecno-filosofica”: usare linguaggi moderni e suoni accattivanti, ma riuscire a inserire frasi brevi, aforismi, che condensino un pensiero profondo e stimolino la riflessione. Come la mia frase “Non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me”, che divenne quasi uno slogan. Se i giovani autori trovassero il modo di creare questi cortocircuiti di senso all’interno di canzoni popolari, forse si aprirebbe una nuova strada. Per ora, però, vedo molta capacità di intrattenere, ma poca di scavare a fondo, anche solo nelle relazioni umane”.

Ho seguito e seguo con piacere Gian Piero, dall’Assemblea musicale che conobbi per caso a Bologna, avevamo amici comuni, all’epoca suonavo la tromba e non passava mese per trovare un’occasione per andare a Genova, dove tuttora ho degli amici, gli stessi che frequentavano Martini, mentre a Bologna spesso mi trovavo in compagnia di Canepa, tutta questa premessa per esprimere tutta la mia gratitudine a Gian Piero per aver stimolato la mia curiosità sulla letteratura e sulla musica, posso oggi affermare che è stata una delle persone più importanti della mia vita, devo a lui il piacere di leggere, gli devo molto per gli amici ho ancora oggi. Grazie Gian Piero