Quando esce un disco nuovo di Andrea Laszlo De Simone andrebbe accolto in maniera adeguata, perché è un evento. Così cercheremo di farlo anche noi, con Una lunghissima ombra, il nuovo lavoro nonché il terzo disco di inediti dell’artista torinese.
E non va celebrato soltanto perché è raro (tre soli album in 13 anni, anche se in mezzo ci sono stati singoli memorabili, colonne sonore e molto altro). Ma perché il suo lavoro è oggettivamente una delle ricchezze migliori e più splendenti appartenenti alla musica italiana contemporanea.
Andrea Laszlo De Simone traccia per traccia
Introduzione lunga, epica, vagamente biblica quella che si affida a Il buio, primo brano del disco, uno strumentale piuttosto cinematografico, se per cinema si ha in mente quello dei kolossal anni ’60.
Gentile e danzante, ecco poi Ricordo tattile, in cui la voce di Andrea Laszlo entra in modo sottile, con archi e fiati a sostenere un movimento ascendente. Il brano è una sorta di vestibolo nel quale entriamo con cautela, per ammirare le delicate fioriture del giardino di Andrea Laszlo De Simone. Barocco nei suoni ma leggero nei modi, il musicista ci accompagna per mano, fino al coro finale.
Qualche glitch nel finale del brano precedente ci porta sotto il Neon di un intermezzo di segno diverso. Tempo di affrontare La notte, che però non è opprimente, anzi ricca di immagini piacevoli, a dispetto di un testo che parla di struggimenti. Il tempo della prima voglia è un rimpianto che rimane, in una richiesta di soccorso posta in modo abbastanza singolare.
Si parla di rami e di fuoco poi, per arrivare a raccontare una coda di paglia. Una dichiarazione è ciò che si situa al centro di Colpevole: una colpevolezza narrata come sempre in modo molto armonico e anche in questo caso ascendente, con un acquisto di ritmo che sale e poi discende. Il lavoro orchestrale del brano è particolarmente articolato e ricco di dettagli.
Ma c’è qualcosa che cresce all’orizzonte, e per la precisione un Quando che arriva da molto lontano: “E’ colpa del respiro/fragile/come me” ci racconta Andrea, prima di elencare un’altra serie di colpevolezze, questa volta con tono piuttosto sofferto. “E’ colpa del silenzio/timido/come me/se non ti dico quel che penso“: le reticenze sono importanti quanto le espressioni esplicite, in un brano ricco di melodie e contraddizioni.
E all’improvviso, Morricone: c’è qualcosa di spaghetti western nell’introduzione di Aspetterò, che poi si scioglie su onde più morbide e avvolgenti. L’attesa è alla base del brano, anche se è un’attesa ricca di dubbi, anzi l’interrogativo è proprio su che cosa si sta aspettando, mentre il violino scivola alle spalle del brano con gentilezza.
Una dolce voce infantile canta le prime note di Per te, prima che la chitarra acustica prenda spazio e respiro. Altri elementi sonori intervengono a “spingere” avanti il brano, prima che la voce arrivi. Ma il brano si allunga e ha sfumature diverse, nonché qualche cambio di ritmo interno.
Alcune considerazioni e molti rimpianti danno vita a Un momento migliore, il brano più “brit” del disco, messo fra molte virgolette. I molti errori di una vita, un amore perduto, le speranze infrante finiscono al centro di un brano dolce ma anche molto disperato, benché capace di elevarsi anche in modi imprevedibili, ricordando certa poetica di Battiato, più per l’impronta che per analogie testuali o musicali.
“Chi vive morirà”: sono quasi sempre verità semplici quelle che si trovano al centro dei brani dell’artista torinese. Con Pienamente ci si trova di fronte a una piccola montagna sonora da scalare, per scoprire cose che sappiamo da sempre ma che forse tendiamo a dimenticare troppo spesso.
Arriva un pianoforte lento per introdurre Planando sui raggi del sole: un uragano in petto esplode in modo controllato per celebrare una nuova giornata. “Volare costa caro“, e non parliamo di tariffe aeroportuali qui, ma della fatica di essere sensibili e fragili in un mondo indifferente. La vicenda di Icaro rimane sullo sfondo di un brano che sussurra e soffia alle zone più intime del sentimento.
Dopo il piccolo intermezzo strumentale di Spiragli, altre memorie emergono piano da Quello che ero una volta: il brano è morbido e semplice, insegue altri rimpianti e plana con calma su pianure non troppo felici. Altro intermezzo quello dedicato a Rifrazione.
Cambio di suoni, per virare sull’elettronico, con Non è reale, che si permette qualche incursione in campo synth pop, a conferma di una padronanza totale delle sonorità: il confronto tra realtà e irrealtà, e tra motivazioni probabilmente illusorie, pompa sangue in un brano che viaggia a loop e che si fa vibrante.
L’ultimo brano è anche la title track Una lunghissima ombra, che parte dalla voce per poi aggiungere elementi soffici tutto intorno. La constatazione della maturità è una sorta di danza fra le ombre.
Un evento, dicevamo, perché questo è il nuovo disco di Andrea Laszlo De Simone, che propone una sorta di colonna sonora del vivere, in senso intimo e per certi versi tutto chiuso nella propria mente e nelle proprie emozioni.
E spesso l’album propone contrasti anche stridenti fra testi che sono ricchi di sofferenze narrate, attorniate però da suoni sempre gentili, morbidi, colorati e soffusi. Come in un racconto fiabesco che, in qualche modo, si rivelerà catartico e curativo, a prescindere da tutte le vicende negative che si dovranno affrontare.
Il lavoro di Laszo De Simone stupisce per coerenza e ricerca, andrebbe sempre ascoltato in cuffia e lascia spesso a bocca aperta. In un momento storico in cui tutto si vive di corsa e non lascia traccia, dedicare un’ora a un disco di questo genere non può che guarire le nostre innumerevoli ansie.
