Amalfitano, “Sono morto x 15 giorni ma sono tornato perché l’amore è”: la recensione

Sono morto x 15 giorni ma sono tornato perché l’amore è è il criptico e complicato titolo del nuovo disco di Amalfitano. Gabriele Mencacci Amalfitano è un cantautore e musicista nato e cresciuto tra Roma, Cortina D’Ampezzo e Londra. Già voce e chitarra dei Joe Victor, pubblica gli album Il Disco di Palermo (2022) e Tienimi la mano, Diva! (2024).

Artista poliedrico, negli anni si è dedicato a musica, scrittura e arte. Produce infatti quadri e disegni che ha anche esposto in una mostra personale a Roma nel 2019 con il nome d’arte Zin Suddu, incentrata sul tema dell’antidiluviano nell’immaginario artistico.

Dal 2020 inizia la collaborazione con Laterza Editori per lo spettacolo Mystery Train insieme all’americanista Alessandro Portelli, un viaggio nell’immaginario americano che ripercorre il rapporto dell’America con la modernità attraverso la storia dei treni e la rivoluzione industriale, tra racconti, poesie e canzoni del folk americano.

Questo è un album che parla di fine e ogni brano, in qualche modo, fa riferimento a questo argomento. La mia intenzione, però, è stata quella di parlare di fine in maniera positiva, e non con l’accezione negativa che solitamente contraddistingue questa parola. In questo progetto, quindi, non voglio raccontare della fine dell’amore o della bellezza; non si tratta di voler elaborare un lutto ma, al contrario, di raccontare la fine del dolore.

Non mi sento di chiamarlo un “disco di rinascita”, non è nemmeno un concept album, ma c’è un filo sottile che passa tra le varie canzoni e che in qualche modo le unisce: quello dell’amore come elemento fondamentale – che rende la voglia di vivere simile a una bomba sempre pronta a esplodere dentro di noi – e anche della coincidenza degli opposti: ogni cosa non è sempre se stessa se inzuppata nell’amore, il dolore non è più dolore, una brutta giornata può essere una bella giornata, il cambiamento quando arriva sembra che non sia mai arrivato; questo ci fa capire che il dolore, prima o poi, passa sempre, perché forse non c’è mai stato

Amalfitano traccia per traccia

Una musica lontana che grida ti voglio bene“: si parla di derapate e di strane sensazioni in Mille volte sì, brano d’apertura che racconta i capelli di lei, mossi come questi anni. C’è un po’ di Rino Gaetano ma anche un po’ di Alberto Fortis (e un Venditti non ce lo vogliamo mettere?) in un brano movimentato e visionario.

Carambole da Milano al mare caratterizzano AZZURRISSIMO, scritto tutto maiuscolo, che se la canta con una certa calma e serenità. Si parla di viaggi, brevi e tranquilli, in un pezzo che si appoggia abbastanza mollemente anche sui fiati, rincorrendo odori di limone e suoni orchestrali.

Un po’ più scure le atmosfere de L’Iliade, che affronta la solitudine di Achille e la propria. Sensazioni blues e ricordi che scorrono via lasciando più di una traccia.

Siamo tutti cattivi parla di distopie e complotti, facendo qualche riferimento alla situazione internazionale, prima di lasciarsi andare a briglie sciolte, aumentando l’intensità e costruendo un muro di suoni con gli archi. Una serie di domande si affollano a mo’ di tempesta in uno dei pezzi sicuramente più sorprendenti e più importanti del disco.

Viaggi esotici e armonica a bocca per un brano sottile e narrativo come Fai come vuoi: c’è qualcosa di Salgari in un brano che racconta, sostanzialmente, di un non amore. E perché non inserire un rock blues cantato in inglese con organo, a questo punto? Ma infatti, ecco Holy Drinkard e le sue, diciamo così, particolarità.

A proposito di riferimenti vintage, ecco Aznavour, che però dopo due note di pianoforte riparte alla carica e mette su un ritmetto pop-dance, parlando di canzoni che ti pungono il culo per farti ballare. Il cantautore franco-armeno peraltro è citato nel testo, ma per prenderne le distanze, in un pezzo divertito e appassionato.

Torna un po’ di serietà con Vai a costruire le campane, che piano piano si allarga fino a sonorità che viaggiano dal blues al gospel, cori compresi, in un brano nato per essere suonato in una cerimonia religiosa tipo in Virginia o in Louisiana.

Atmosfere veramente retrò quelle che ci propone Cosa dolce (qui il riferimento immediato è Ivan Graziani, anche per la vocalità): un coro si gonfia e si fa potente, alternando momenti e passaggi tra luce e ombra.

Pianoforte e voce per l’introduzione di cinquesette, ma anche qui c’è una crescita, sebbene non altrettanto vertiginosa, in un brano teatrale e struggente, ma non malinconico, che racconta sostanzialmente le smanie della solitudine casalinga.

C’è un battito ne L’ultimo concerto, sorta di congedo ideale dalla musica, che si traduce in un modo di raccontare se stessi e le proprie sensazioni. “La fine della fine/sentite questa fine“: probabilmente ogni musicista sogna di finire all’apice, e Amalfitano ci racconta questa idea con qualche dettaglio in più. Ma c’è spazio per un ultimo breve brano strumentale, una piccola coda cinematografica ancora vintage, con I titoli di coda scorreranno sul fiume Tevere.

Che coss’è l’amor? chiedeva Capossela qualche anno fa. Non ci risponde in modo definitivo Amalfitano, ma ci comunica la sua voglia di cantare e di fare un disco “come una volta”, senza farsi sopraffare dalle nostalgie. CI ha messo dentro orchestre, cori, idee cantautorali antiche senza mai sembrare “fuori moda”.

C’è moltissima varietà e c’è una sensazione di passione profonda e sincera, che agita questi brani mai troppo tranquilli, alla ricerca di un’esplosione che a volte arriva e a volte no. Tra ironie, tenerezze ed esagerazioni, Amalfitano ci fa ballare e commuovere, ammiccando qui e là, ma per lo più distribuendo abbracci e sorrisi.

Genere musicale: cantautore, pop

Se ti piace Amalfitano ascolta anche: Lucio Leoni

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