jackals
Nati qualche anno fa e con molti chilometri e concerti alle spalle, The Jackals hanno pubblicato alcuni dischi, l’ultimo dei quali è l’ep Suoni lontani, con cinque brani che rappresentano una sorta di viaggio per i cinque continenti. Abbiamo rivolto qualche domanda alla band.

Potete raccontare la storia della vostra band?

I Jackals nascono come quartetto rock intorno alla metà dello scorso decennio. Il nostro più grande sogno era fare un disco di rock anni ’70, cantato in inglese. Lo abbiamo trasformato in realtà e, nonostante fossimo in piena era indie, le cose sono andate meglio di quanto potevamo immaginare, attirando l’attenzione di parecchia gente.

Poi siamo diventati un trio e ci siamo avvicinati alla musica italiana, traendo ispirazione dai grandi cantautori. Il passo successivo è stato trovare un modo per fondere il nostro sound con la musica etnica e tradizionale. Continuiamo il lungo percorso che finora ci ha portato a pubblicare quattro dischi e suonare su tanti palchi.

Avete ideato il vostro ep “Suoni lontani” come un viaggio per i cinque continenti. Come nasce l’ispirazione del disco?

Siamo sempre stati in continua evoluzione. A un certo punto però il rock, nel senso più classico del termine, iniziava a starci un po’ stretto. Dando uno sguardo verso il futuro e considerando che la nostra società sta diventando sempre più multiculturale, abbiamo intuito che il sound dei prossimi decenni sarà un mix tra la musica occidentale e quella di altre parti del mondo. Perciò, da provetti Indiana Jones del rock, siamo partiti carichi di entusiasmo alla scoperta di altre civiltà, per scavare a fondo alla ricerca di tesori nascosti.

Mi sembra che la vostra musica sia influenzata sia dal rock internazionale sia da quello italiano con particolare attenzione al periodo del progressive degli anni 70. Quali sono i vostri capisaldi musicali?

Il rock progressivo e sinfonico degli anni ’70 è sicuramente nelle nostre corde: in particolare Yes, Genesis, King Crimson, Jethro Tull. Anche gli italiani, che in questo erano molto bravi, primi tra tutti PFM e Le Orme, ci hanno influenzato molto. Tra i capisaldi c’è anche l’alternative di Soundgarden e Smashing Pumpkins perché, infondo, siamo figli degli anni ’90!

Avete alle spalle anche un disco ricco di cover “eccellenti” di musica italiana. Le eseguite dal vivo? Potete descrivere un vostro set live “tipico”?

Da diversi anni ci piace includere nella scaletta rivisitazioni in chiave rock di classici del cantautorato, divertendoci a  riempire di bei “riffoni” brani di De André, Battiato, ma anche composizione del maestro Morricone. Quando poi nel 2013 eravamo in studio per produrre “Pasto Crudo”, abbiamo registrato parecchie cover, dalle quali avremmo dovuto sceglierne un paio. Alla fine però è stato più forte di noi e le abbiamo messe tutte, pubblicando un doppio album contenente un vero e proprio omaggio alla musica italiana.

Per il resto, avendo parecchi inediti, la scaletta può variare molto da un live all’altro: tendenzialmente proponiamo i brani più recenti ma, quando vediamo che ci sono i fan più fedeli, andiamo a ripescare alcune vecchie glorie.

“Suoni lontani” è uscito da qualche tempo. State lavorando a un disco nuovo? Potete darci qualche anticipazione?

Il nostro trio ha appena avuto un importante cambio di formazione con un batterista polistrumentista, davvero degno di nota, che presto presenteremo ufficialmente. E’ giunto quindi il tempo di rifare le valige e partire verso nuove avventure, per esplore altri territori musicali del mondo. Siamo già alle prese con i ritmi frenetici cubani e le evocative melodie tradizionali dell’isola di Creta, e poi chissà… Sicuramente il prossimo disco rappresenterà il passo successivo verso l’evoluzione “rock multiculturale” di cui in Italia, noi Jackals, vorremmo esserne  portabandiera.

The Jackals traccia per traccia

jackalsSi parte da una chitarra che sa di flamenco e America latina, con Sinfonia del deserto, in cui si incuneano idee rock di provenienza varia (si può pensare ai Queen più barocchi come agli anni Novanta italiani). C’è un che di epico anche in Zingara addormentata, che al contrario delle atmosfere “western” del pezzo precedente, sembra guardare verso Oriente.

A proposito di Oriente, ecco India (in verità poco “orientale”), pezzo quasi del tutto strumentale, fatto salvo qualche intervento corale, molto fluido. Con la Tarantella del Solstizio le influenze sembrano estendersi verso gli anni Settanta, in particolare al progressive italiano, comunque coniugati in modo decisamente personale. L’ep si chiude sulle lunghe onde di Oceano, primo e unico pezzo lento dell’ep.

Il viaggio di The Jackals è coerente e ben motivato. La band sembra avere idee chiare, nonché l’abilità sufficiente per raggiungere i propri obiettivi.

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