Roberto Mataluni, pianista napoletano classe 1977, diplomato al Conservatorio di Musica di Napoli, ha pubblicato il proprio secondo lavoro, Origini, in cui si è avvalso della collaborazione di vari musicisti.
Si passa da brani solo pianistici, ad altri che strizzano l’occhio a delle vere e proprie colonne sonore, come il brano Favola. Anche in questo album ci sono elementi di elettronica, che fanno la loro comparsa man mano che i brani entrano nel vivo. Lo abbiamo intervistato.
“Origini” è il tuo secondo disco: quali sono le motivazioni alla base del disco? Puoi spiegare il titolo?
Il disco è un viaggio dalle Origini a ora. Una sorta di concept album. Il tema del brano che da il nome al disco (Origini per l’appunto) è accennato più volte durante l’album, prima presentato nella sua naturalezza e poi con delle evoluzioni elettroniche. Questo tema è stato il mio primo brano, scritto quando ero ancora un ragazzino.
Di traccia in traccia, si trattano argomenti che fanno parte di un viaggio interiore: lo stupore del fanciullo davanti alle evoluzioni di una enorme fontana (Giochi d’acqua); le prime lettere che raccontano di amori, di sentimenti, di ricordi passati, che vengono ritrovate dopo molti anni dentro una vecchia scatola (Lettere nascoste); temi più importanti come la morte, con il brano Nei suoi occhi, dedicato a una persona che ha incrociato la mia vita soltanto di sfuggita ma che è volata in cielo troppo presto, lasciando solo la gioia dei suoi occhi come ricordo indelebile.
C’è l’evoluzione interiore, con Luce notturna, che è un tocco leggero verso una tematica dallo stampo esoterico, che parla di quella luce che illumina i nostri sogni, che non è altro che la luce eterica. C’è un po’ delle mie origini del Sud, nel brano Come una Taranta che è una tarantella dal ritmo però meditativo. C’è, infine, l’evoluzione musicale, rappresentata dal brano Essenza, che da una particella musicale minuscola, una semplice nota ribattuta, evolve in qualche cosa di più ampio, in un’orchestrazione. Gli ultimi brani hanno anch’essi un’orchestrazione importante, fino al culmine che si raggiunge con Origini.
Al contrario che nel tuo esordio, qui hai collaborato con altri musicisti. Puoi spiegare il cambio di rotta e chi sono i tuoi collaboratori?
Il mio percorso musicale si è sempre accompagnato, oltre che con il pianoforte, con gli strumenti elettronici. Ho sempre avuto la passione per questi, avento la possibilità di emulare gli altri strumenti con una tastiera. Il primo album Atmospheres è suonato interamente con VST, tutto scritto, arrangiato, mixato e suonato da me. Qui ho voluto invece cogliere le sfumature dei reali strumenti acustici, inarrivabili di fatto con qualsiasi tentativo di emulazione.
Ho voluto far vibrare gli archi, far sentire la “pancia” delle percussioni, e mi sono avvalso di alcune collaborazioni preziose. In particolare le persone che hanno prestato la loro mano artistica sono: Rosario Esposito al contrabbasso; Wally Pituello al violoncello; Silvia Tarantino al violino; Massimiliano Monachello percussioni in Come una taranta; Carmine Pagano e Ugo Bonucci per l’aiuto in fase di mix.
Inoltre c’è da dire che mentre Atmospheres nasceva da un impulso momentaneo di scrivere, perché attraversavo una fase delicata della mia vita, che mi ha portato a realizzare tutto in meno di due mesi, con Origini ho voluto invece investire più tempo nella composizione, cercando di sviluppare maggiormente i temi, proponendo anche schemi più “scolastici”, stando maggiormente nella forma musicale. E quindi ho potuto demandare il sentimento ad altre persone, anzi, ho preferito far arricchire dalle loro interpretazioni, quella che era l’idea iniziale.
Come nasce “Favola”, che per tua stessa ammissione strizza l’occhio alle colonne sonore?
Ho tralasciato volutamente Favola nel discorso di prima perché, effettivamente, merita uno spazio dedicato. Favola fa sempre parte del percorso di cui parlavamo, è il mondo delle fiabe che ci accompagna da ragazzini, è il sogno, allo stesso tempo è malinconia, è il castello di Edward nel film Edward mani di forbici per intenderci. Il brano nasce come composizione per solo pianoforte, già pronta da tempo. Riprendendo il tema però mi sono accorto che meritava un’evoluzione diversa. Si sono aggiunti così archi e il flauto. Il violino dell’introduzione è venuto dopo, come sono venuti ancora in successiva elaborazione, tutti i fiati.
E’ venuto fuori qualche cosa da ascoltare a occhi chiusi, mentre si varca, con il pensiero, un cancella alto e scuro che ci introduce in un giardino magico, dal quale possiamo intravedere, in lontananza, un castello misterioso. In realtà, devo confessare, che, dal feedback ricevuto da chi ha ascoltato entrambi i miei lavori, molti brani si configurano come colonne sonore. Sarà probabilmente per il fatto che il flusso compositivo per me è concepito come un’unica cosa tra mente, cuore e mani. Far fluire i pensieri e i sentimenti direttamente dalle note, senza pensare, senza sosta.
Quali sono i tuoi modelli musicali assoluti?
I miei modelli sono tanti. Sono cresciuto suonando il classico e ascoltando il rock, passando per il pop, il blues. Insomma, mi sono lasciato sempre influenzare da tutta quella che è la musica, senza essere prevenuto. Se dovessi fare dei nomi, affiancherei Beethoven a Einaudi, passando per i Muse. Un giro un po’ strano, devo ammetterlo.
Il disco è uscito da qualche tempo. Hai già in programma nuovi lavori? Puoi anticipare qualcosa?
Il disco è uscito il 21 dicembre del 2017, nonostante fosse pronto già da qualche mese prima. Ho aspettato quella data perchè coincideva con il solstizio d’inverno, che è rinascita, cambiamento, una nuova era che arriva. Mi sembrava fosse il giorno adatto per Origini.
Ora sto già lavorando ad altro. Sto intensificando l’innesto dell’elettronica nei miei brani. Ho fatto ritorno al virtuale, ma queste volta non tanto per emulare strumenti acustici, ma utilizzandola sua naturale concezione. Il synth avrà il suo posto, come percussioni distorte, bassi elettronici, suono psichedelici, che tocchino maggiormente l’inconscio dell’ascoltatore senza però snaturare quella che è la mia linea compositiva. L’idea è che questa volta, deve essere il piano ad accompagnare l’elettronica, e non il contrario. Ma questa si sa, è l’idea iniziale… poi vedremo a cosa ci porterà.
Roberto Mataluni traccia per traccia
Dopo la breve e introduttiva Primo tempo, si entra nella materia con i movimenti morbidi e melodici di Lettere nascoste, brano di impostazione classica ma semplice e fluido.
Entra il violino in Giochi d’acqua, titolo che fa pensare al barocco ma composizione, anche orchestrale, in realtà più moderna e drammatica. Anche Luce notturna utilizza gli archi, qui in modo anche più esteso, e anche qui filtra un aumento del pathos generale ed esteso.
Nei suoi occhi torna a un discorso più intimo e limitato al solo piano, che attraversa però diverse tempeste interiori prima di arrivare a conclusione. Secondo tempo recupera il violino, ma comincia a inserire guardualmente anche qualche sensazione sintetica.
Essenza torna a linee pulite di piano, almeno all’inizio: in realtà il brano si costruisce un po’ per volta e aggiunge elementi alla costruzione, risultando uno tra quelli dal respiro più ampio e con le maggiori aspirazioni “cinematografiche”.
Come una taranta, in realtà, della taranta ha soprattutto una certa baldanza e dei tamburelli, mantenendo però una certa compostezza di fondo, non priva però di vivacità.
Come già preventivato, ecco poi Favola, che oltre all’aspetto favolistico accentua anche quello cinematografico, con una struttura costruita in modo composito e gli archi che sottolineano i passaggi maggiormente significativi.
Si chiude con Origini, che ha passaggi drammatici ai limiti della tempesta, con l’arrivo della voce a coronamento del discorso.
Il disco vive passaggi originali e molto interessanti, soprattutto quando al pianoforte si accompagnano altri strumenti e il tessuto sonoro si fa più fitto e composito. La crescita di Roberto Mataluni come pianista e come compositore è palpabile.