Un passato con i Criminal Jokers, e ora un esordio da solista: Tommaso Tanzini ha firmato Piena, un passo d’inizio molto importante e intenso (qui la recensione). Lo abbiamo intervistato.

Un esordio da solista che arriva dopo un periodo consistente di silenzio: perché ora e perché da solista e non magari con un’altra band?

Avevo l’esigenza di stare da solo, decidere da solo, pensare da solo, avere un punto di vista unico sulle cose che non venisse messo in dubbio; volevo avere la libertà di scegliere su tutto, insomma.

Inoltre, da soli ci sono molte più possibilità di trovare date per suonare. Tuttavia, non volevo fare la solita figura del cantautore chitarra e voce; oggi è possibile muoversi verso l’elettronica e fare cose incredibili, secondo me, ma non tutti lo fanno, molti sono scettici, io invece lo considero un mio punto di forza.

A quanto dicono i comunicati che accompagnano il disco, “Piena” indica una situazione di costante minaccia di alluvione dello studio dove lavoravi (come del resto di gran parte d’Italia, a quanto pare). Ma si può spiegare anche con uno stato psicologico vicino alla tracimazione, come quando dici “spaccare tutto/e non lasciare niente” in “Musicisti alla ribalta”? Con chi ce l’hai esattamente in quella canzone?

Diciamo che emotivamente Piena indica questo mio stato d’animo colmo di materiale messo da parte, di sensazioni nascoste e opprimenti. Proprio da qui nasce il titolo che simboleggia questa mia esigenza di buttare fuori, di far saltare queste chiusure ermetiche e uscire alla luce.

Il riferimento di Musicisti alla ribalta è rivolto a un tipo di generazione, anche la mia, che non riuscendo ad affrontare il futuro, decide di vivere alla giornata, come se non ci fosse un domani; si nascondono dietro del finto altruismo ma in realtà vivono per se stessi e non gli importa realmente di nessun altro e di ciò che li circonda.

Un’altra canzone che mi ha colpito è “Il personaggio”: qual è la sua genesi?

È nata come molte delle altre: prima chitarra e poi voce; il loro accostamento non è mai stato forzato. È come se avessi scritto l’album due volte: la prima cercando di parlare con lo strumento e la seconda con le parole.

Il personaggio è il mio sfogo più grande verso tutti quei problemi che mi sembra di aver risolto ma che in realtà tornano sempre.

Il finale esplode ammettendo una continua inadeguatezza anche nel ruolo che ho nella vita; anche se sembra quello che mi calza meglio, c’è sempre un velo di incertezza verso una via che poteva essere più adatta.

Quella che sto percorrendo è forse solo frutto di coincidenze, influenze e finte aspirazioni che mirano forse solo a un salario garantito.

In alcune canzoni, come “Madre” o “Retromani”, pare di avvertire il peso della provincia italiana, visto esclusivamente come un freno. Ti riferisci soltanto alle piccole città oppure vedi tutta la società italiana come sempre più provincializzata?

Innanzitutto ci terrei a precisare che la provincia spesso è un forte marchio di garanzia per la qualità. Nel senso che i musicisti sono sempre a confronto con una realtà che li conosce molto bene e quindi appena diventano manieristi vengono subito smascherati.

Se si vuole essere accettati, si deve cercar di essere il più possibile se stessi. Questo è un filtro molto forte che lascia tuttavia poche chance di ribalta, dato che è davvero difficile non prendere spunto da qualcuno senza emularlo.

Tuttavia non vedo tutta la società italiana come un’enorme provincia, ci sono posti dove queste pressioni non si respirano assolutamente, ma le persone sono meno trasparenti.

Concludendo considero l’essere cresciuto in provincia un mio punto di forza, che spesso mi ha frenato verso nuovi sbocchi, ma mi ha lasciato un forte segno di genuinità addosso. Insomma guardo al lato positivo.

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