Younger è il nuovo disco dei Poets Were Wrong. Formatisi a Cremona nel 2013, sono giovanissimi ma con esperienze diverse alle spalle. Hanno iniziato suonando un pop punk fresco e dai tratti adolescenziali, per poi lasciarsi contaminare dalle più varie influenze e trovando una particolare affinità con l’ultima ondata emo americana.
I loro pezzi potrebbero essere definiti emo/shoegaze/dreampop.
“Younger”, il primo album della band, è stato realizzato nel corso degli ultimi due anni e si compone di otto brani. Ciò che esso vuol trasmettere è quella lieve malinconia che ci coglie quando realizziamo di dover abbandonare l’adolescenza per entrare nell’età adulta. Quel passo che probabilmente non si è mai sicuri di aver compiuto fino in fondo.
Loro lo riassumo così: “Quattro amici, quattro vite sul ciglio di quel burrone che a volte sembra l’età adulta. Una sala prove in cui rifugiarsi”.
Poets Were Wrong traccia per traccia
L’avvio è dato da When It Gets Dark, quasi un manifesto di sonorità alternative/emo, influenzate dall’America dei 90s.
Entra un po’ di buio in Younger, title track dai tratti malinconici, con il basso che si incarica di fare da traccia di fondo dai toni quasi new wave.
Si corre molto nella rapida Don’t Bother, con un drumming infiammato e linee fluide e filanti, nonché qualche idea acida nel finale.
Your Orchestra ospita sentimenti alternati e contrastanti, benché a paragone del resto del disco possa risultare quasi “solare”.
In Friends si consumano alcune eco dark wave, attenuate da un’aura melodica che alla fine si prende tutto. Beach Slang torna a correre, parlando di timidezze e rullando parecchio con la batteria.
I toni si abbassano molto con Not a Boy, ballata intima benché corale, su linee semplici di chitarra. La seconda parte del pezzo alza il volume ed echeggia il metal anni ’80.
Finale rallentato e suggestivo con Colorful Gradient, una sfumatura di colore che tende verso le tinte scure, in coerenza con il resto del lavoro.
Un disco piacevole e ben fatto, l’esordio dei Poets Were Wrong, che pur rimanendo chiuso fra le proprie influenze sonore lascia al gruppo un sufficiente margine di manovra.

