E’ uscito La Teranga, esordio dei torinesi Afrodream contenente undici brani in stile afrobeat / pop. Il titolo del disco è un termine senegalese e significa “accoglienza”. Abbiamo intervistato la band per saperne qualcosa di più.
Partiamo dalle basi: chi sono e come nascono gli Afrodream?
Afrodream è un progetto nato a Torino in un parco. Abou Samb (senegalese) e Luca Vergano (italiano) hanno iniziato a scrivere qualche canzone con la chitarra durante le mattine di sole, di un’estate di 4 anni fa. Si sono aggiunti, in seguito, gli altri componenti: Ariel Verosto (Argentina) alle tastiere e al flauto traverso, Simone Arlorio al sax, Eddy Gaulein Stef (Martinica) al basso e Jacopo Angeleri alla batteria.
“La Teranga” è il vostro esordio. Vorrei capire come sono andate le lavorazioni del disco.
La lavorazione della Teranga è stata molto particolare. Siamo partiti da tre brani che avevamo e che già suonavamo ai concerti: Ma cherie, Imigre e Mak Djii. In una prima fase Luca e Ariel hanno iniziato a scrivere in studio nuove musiche e successivamente Abou ha lavorato su tutte le linee melodiche e scritto i testi.
In un secondo momento siamo tornati in studio per arrangiare tutti insieme, con le linee di basso di Eddy, le parti di sax di Simone, le sezioni di fiati suonate da Igor Vigna, le parti di Batteria di Jacopo e sono state ultimate le parti di chitarra o di piano da cui erano nati, in origine, i brani.
Intitolare un disco con un termine senegalese che significa “accoglienza” equivale a una dichiarazione politica, di questi tempi. Avete voglia di spiegare meglio il concetto?
Per noi la Teranga (accoglienza) è stata in prima battuta una sorta di religione con la quale abbiamo coltivato il rapporto tra di noi. Non è facile unire musicalmente i nostri mondi diversi e abbiamo dovuto contemplare lentamente le nostre visioni per poterle fondere in un disco.
La Teranga, dunque, è alimentare il desiderio della scoperta, considerato che le nostre differenti culture musicali ci portano a diverse interpretazioni dello stesso brano. Quindi la meta è trovare una mediazione accogliendo idee con cui non si è cresciuti.
In un’epoca virtuale in cui regnano le playlist e quindi la musica “subita”, il nostro intento è di far passare il messaggio dell’esplorazione. Come quando si era piccoli, si prendeva la bicicletta e si andava ad ascoltare dischi nei negozi per poi comprarli, leggere i testi del libretto e guardare le foto. Così cerchiamo di fare tra di noi.
Solo in un secondo momento abbiamo riversato il significato di questi nostri incontri personali e artistici nei testi e nelle musiche. La nostra velleità politica è questa dunque, il cercare di far trasparire nei brani e ai concerti una sorta di pace relazionale. Una formula collaborativa fondata sullo scrutare e contemplare la ricchezza altrui.
Di che cosa parlano le vostre canzoni?
Le canzoni hanno come argomenti principali la pace, la coesistenza, i fenomeni di integrazione, la compassione e l’amore.
Come vedete il futuro degli Afrodream?
Per noi il futuro è continuare a far ballare la gente ai concerti come fosse una sorta di rito catartico e scrivere musica insieme.
Afrodream traccia per traccia
Ci sono i fiati a sostenere il dinamismo di Djigen, pezzo piuttosto festoso ma anche con qualche caratteristica quasi jazzata, che apre il disco.
Molto movimentata anche la seguente Mon Ami, una dichiarazione di amicizia con un consistente groove di basso. Verso il finale robusta anche la presenza di chitarra e synth.
Li Gen Ci Rew ha un andamento più molleggiato, con tratti notturni ma sempre con una buonissima fluidità. Acidelle le tastiere.
Subentra un po’ di dolcezza con Ma Cherie, che però accelera nella seconda parte e si fa festosa. Torna a ritmi molto alti e a situazioni corali Mak Djii.
Va più vicino alle sonorità del reggae Imigrè, che include anche una strofa rap e che si mostra piuttosto determinata.
Boussou Dieng mantiene una notevole quantità di moto, sovrapponendo i livelli sonori in buona armonia.
Questioni notturne per Cheick Bethio, che rispetto ai brani precedenti si dimostra un po’ più drammatica come mood.
E anche Khalis, che chiude il disco, si lascia trasportare da un umore leggermente più cupo.
Canzoni sempre molto vive, colori accesi, tematiche forti e un risultato complessivo omogeneo e armonico: l’esordio degli Afrodream colpisce per avere tutte queste caratteristiche e altre ancora. Una scoperta molto interessante.