Con il suo abituale perfezionismo, da vaste dosi di archi e da consapevolezze di scrittura e di composizione ancora più vaste, Blindur ha appena pubblicato EXIT, il proprio nuovo lavoro. Ne abbiamo approfittato per chiacchierarne con Massimo De Vita, che è l’incarnazione del progetto Blindur.
Partiamo dal titolo e dal gioco da tavolo che è legato al disco: quale dei due nasce prima? E perché hai deciso di intitolare il disco come la canzone finale dello stesso?
Direi che è stata una bella partita di tennis: l’idea del gioco a posto le basi per il desiderio di questo disco, il contenuto delle canzoni ha innescato una tempesta creativa più ampia, scrivere il regolamento del gioco e dare concretamente forma al percorso del gioco hanno teso il filo di Arianna nel labirinto musicale fino all’uscita.
EXIT, come succede spesso per i miei dischi, è una parola di cui mi sono innamorato quando non esisteva nemmeno la prima canzone di questo album, è stata una parola guida che ha poi portato a una cascata di simbolismi, ricerche, visioni. Quando è arrivata la canzone che attualmente porta il titolo dell’album, mi è sembrato che fungesse proprio da sintesi rispetto alla volontà, al pathos e al senso più profondo di tutto quello che avevo fatto e per questo, cosa assolutamente inedita per la mia produzione, ho deciso di far coincidere il titolo dell’album con il titolo di una canzone.
Si avverte un senso di disco “importante”, come se ti fossi assunto la responsabilità di fare un consistente passo avanti. Mia impressione oppure era davvero questa l’idea alle spalle di questi brani?
Cerco sempre di fotografare il momento che vivo quando scrivo, e parlo sia del mondo che mi circonda, sia del mondo come me lo metto in testa (tanto per fare una citazione). Se questo disco suona più “importante” sarà perché sento che questo momento, storico e personale, ha bisogno di riflessioni più verticali, di una luce più intensa e di punti di vista nuovi. Per il resto ho voluto realizzare un album che valorizzasse il più possibile gli ultimi anni, con tutti i loro trionfi e naufragi, con tutto il tempo che ho condiviso con la mia band, con tutte le esperienze individuali e collettive che certamente hanno contribuito alla densità di queste canzoni.
Nel disco precedente mi sembra che l’attualità fosse entrata nei testi con rabbia e risentimento. Qui invece direi che entra comunque, ma invitando alla riflessione più che alla ribellione.
Credo di no, certamente A è stato un disco figlio di un periodo buio, complesso e doloroso; quelle canzoni sono servite a liberare un grido, a far cicatrizzare delle ferite, ma EXIT è comunque nato e cresciuto durante la pandemia (quindi non proprio nel momento migliore delle nostre vite), nonostante la sua luminosità, la primavera che porta dentro e la furia convertita in dinamica. Direi in conclusione che sono due album che parlano di reazione, di volontà, di desiderio, di vita. E’ una cosa per me fondamentale tentare sempre di non cristallizzare le emozioni negative, piuttosto cerco sempre di trasformarle.
Gli archi sono una costante del disco: ci spieghi il motivo di questa scelta sonora?
Quando ho iniziato a ragionare dell’estetica musicale di queste canzoni, mi sono accorto che in tantissime delle cose del nuovo indie alternativo internazionale avevano questa componente orchestrale, aspetto che mi ero promesso di esplorare con Carla Grimaldi (compositrice, violinista di Blindur e mia compagna di vita).
Affrontare le orchestrazioni è stato per me, da produttore e compositore, una sfida meravigliosa, uno stimolo enorme e l’occasione per dare a Blindur una maturità maggiore dal punto di vista sonoro ed emotivo; I temi più profondi, il simbolismo, la volontà di innescare una catarsi maggiore dell’ascoltatore nel gioco della liturgia che da tempo mi piace mettere su, coincidevano perfettamente con gli ascolti e con la volontà di esplorare un’aspetto della musica più “colto”, ma soprattutto più emozionale.
Come mai tu, produttore di fama, ti sei avvalso di un paio di altri produttori come Fasolo e Il Mafio?
In primis perche Marco Fasolo e Daniele il mafio Tortora sono due amici e due professionisti che stimo profondamente. In secondo luogo perché il mio percorso di confronto e contaminazione non poteva escludere la produzione e devo dire che mi ha fatto benissimo; ho imparato un mucchio di cose nuove, ho scoperto nuovi punti di vista e ho curato la mia inutile mania di controllo. Non escludo assolutamente di fare altre cose con loro e con altri, la coproduzione ho scoperto che mi piace tantissimo!
Ci racconti qualcosa sulle numerose e importantissime collaborazioni?
Blindur ha collaborato spesso con tanti artisti (dai TARM agli Espana circo este, da Adriano Viterbini a JT Bates) e la cifra comune di tutti questi incroci è che tutte le persone coinvolte sono prima di tutto amici, che si lasciano trascinare nelle mie follie. Per questo album sono riuscito a far coincidere il piacere di collaborare con degli amici al realizzare alcuni sogni: Rodrigo D’Erasmo ha composto insieme a Carla Grimaldi le orchestrazioni di “stati di agitazione”, contrapponendo epicità e maestosità all’approccio molto ritmico originario; Roberto Angelini ha incrociato la sua voce e la sua slide guitar alla mia eclisse, completando uno dei brani più importanti di quest’album; Monique Honeybird Mizrahi ha avvolto di onirica magia La festa della luna, scrivendo e cantando parte del testo e tessendo una trama di charango e campanelle giapponesi; infine sono riuscito a scomodare una divinità del rock alternativo come J Mascis dei Dinosaur JR, che ha sferzato Mr. Happytime con un assolo di chitarra in perfetto stile Mascis!
Poi Daniele dei Malmo, JT Bates dei big red machine e altri ancora, hanno reso questo disco una vera e propria festa.
Qual è stata la canzone più complicata da scrivere?
Tutta la genesi di questo disco è stata molto impegnativa, perché alla mia proverbiale pignoleria si è aggiunta la volontà di accogliere qualsiasi input esterno dalle persone coinvolte, non certo per indecisione, quanto per il desiderio di farmi contaminare, predisponendomi a potenziali panorami inaspettati. Forse però, al netto di una fase di scrittura mediamente rapida, quella veramente complessa è stata la produzione e la ricerca estetica di alcuni brani; alcuni di questi sono stati completati con l’aiuto dei feat (che hanno proprio rivoluzionato le canzoni in alcuni casi) o dei produttori che ho coinvolto, altri, come per esempio La casa degli spiriti, hanno dovuto attraversare molte trasformazioni prima di risultare finalmente complete.
A che punto è il tuo progetto? Dopo tutti i premi vinti, dopo tutti gli elogi e le collaborazioni, che cosa speri e che cosa ti aspetti?
Se ci sono due parole bandite dal mio vocabolario, queste sono speranze e aspettative! Cerco di salvaguardare sempre la sincerità, di celebrare l’urgenza e di onorare il lavoro, ancor di più quando è corale, come nel caso di questo disco. Appena conclusi i lavori in studio, partendo dal palco del 1° maggio libero e pensante di Taranto, mi sono lanciato in un’estate di concerti; adesso, mentre EXIT vede la luce, mi sto impegnando per mettere su un tour italiano per questo inverno e un giro europeo in primavera, ho una voglia matta di portare queste canzoni dal vivo e vedere l’effetto che fanno. In definitiva il mio essere sempre costantemente in movimento non mi lascia molto tempo per sperare e aspettarmi qualcosa, preferisco fare.