Brain Ragu, “Gaze at the Sun”: la recensione

Gaze at the sun è il nuovo disco dei Brain Ragu, trio toscano di musica strumentale in bilico tra ambient, elettronica, post-rock e shoegaze, formatosi ufficialmente nel 2014 e attualmente composto da Simone Nati, Mattia Cella e Giorgio Fatica.
Fin da subito la formazione è spinta dal desiderio di fondere insieme l’influenza dell’elettronica europea (Digitalism, Soulwax, Moderat), del post rock (Mogwai, Explosions In The Sky) e della new wave (New Order, Cure) in un progetto che rompa i canoni della band rock classica ma che ne mantenga la propria forza comunicativa. L’idea portata avanti è quella di sviluppare una modalità di scrittura che renda il processo creativo fluido e aperto a costanti sperimentazioni, senza rinunciare completamente alla forma
canzone.
Dopo due EP di stampo principalmente elettronico, Gaze at the sun è caratterizzato da una forte impronta shoegaze (My Bloody Valentine, Airiel, The Horrors), che va ad aggiungersi alle influenze già consolidate della band. Il risultato sono 10 tracce di musica strumentale che oscillano tra atmosfere ambient, ritmi alienanti e improvvise esplosioni di distorsione. Un disco complesso e di lunga gestazione, che racconta la storia di questi 3 anni della band e ne mostra l’evoluzione tecnica e artistica.
È banale dire che la pandemia ha contribuito alla nascita di GATS, ma è stato proprio così. Ci siamo chiesti quanta voglia avessimo di continuare a suonare assieme pur sapendo che avremmo dovuto cambiare modo di lavorare e non abbiamo avuto un attimo di esitazione. Le fasi creative in cui le idee sono nate e si sono sviluppate sono diverse. Alcuni brani sono stati concepiti in sala prove e durante le improvvisazioni live, altri, invece, sono stati pensati e scritti interamente a distanza (forzata ovviamente). Altri, infine, sono nati prima della pandemia e sono stati letteralmente stravolti dall’embrione iniziale. Abbiamo deciso di pubblicare un corpo unico perché crediamo che sia la scelta migliore per omaggiare gli ormai 9 anni di lavoro assieme. Questo primo disco è un’emozione forte per noi, speriamo che piaccia.
Brain Ragu traccia per traccia
Un ingresso sussurrato, quello che si celebra con Sunrise, animata dal pianoforte e capace di muoversi con cautela e ai margini. Un po’ più esplicita nei modi e nelle direzioni, anche elettriche, la seguente Neon Fog.
Si entra in campi misteriosi con The Mystical, animata da suoni e risonanze più profonde, senza rinunciare alla chitarra, che anzi alza il volume. C’è ubriachezza e qualche beat animato all’interno di Drunk on Starship, che sgomita via su un groove particolarmente potente.
Titolo in comune con un celebre brano dei Verve, ma strada completamente diversa quella di Drugs don’t Work, che corre fluida e quasi serena. Molto più muscolare Alien Radio, che va a traino di un fittissimo lavoro di batteria.
Eyes on a rainy day riporta la calma, orientandosi verso orizzonti più tranquilli. Si attraversano poi le Subways, per riportare al centro del discorso un suono potente e articolato.
Si torna sul fluido con Postcards from a Nuclear Plant, con la chitarra che fornisce un supporto aereo e agile. Si chiude con Sunset, un tramonto allungato su alcune malinconie, con il ritorno del pianoforte a chiudere il cerchio, con voci incomprensibili sulle prime e la chitarra che si fa sentire nella seconda parte.
Un lavoro molto compatto, con molti slanci e molte variazioni del percorso, quello dei Brain Ragu. Nel complesso un album interessante e costruito in modo intelligente, con ottime punte di intensità.