Squilla il telefono e Giovanni Imparato, molto più noto come Colombre, è già pronto per l’intervista. Abbiamo qualche domanda per lui, sia per parlare di Corallo, il suo disco uscito da poco, sia per capire meglio della personalità sfaccettata di uno dei cantautori più dotati della sua generazione.
Prima domanda obbligatoria per qualunque intervista in questo periodo… Come ti va la quarantena?
C’è quel sentimento che credo accomuni un po’ tutti… Manca la fisicità legata a uscire di casa, passeggiare, respirare un’aria diversa. La quarantena è composta da fasi alterne: la fase positivista, negazionista, la fase dove stai preso male perché stai lì e non sai quali saranno le mosse che concernono la tua vita fuori dalla casa…
Altre volte provi a fare delle cose, ti organizzi, ti metti a leggere, approfitti del tempo che prima non avevi. E poi ci sono momenti di sconforto. La creatività non è sicuramente all’ordine del giorno in queste condizioni, perché penso che sia anche quella legata alla fisicità. Stando in casa il tuo cervello si paralizza, in qualche modo.
Bisogna trovare i modi per coltivarla, quindi leggi, ascolti della musica, provi a fare cose tue ma non sempre viene fuori qualcosa. Nel momento in cui magari prendi un po’ di fiducia e ti metti di buona lena sono già arrivate le otto di sera… Anche il tempo si dilata.
Poi succedono anche delle cose tragiche, che ti toccano anche da vicino. Sembra che la quarantena sia iniziata miliardi di anni fa. E quello che mi spaventa è che un po’ ci si abitua anche.
Non hai spostato l’uscita di un disco al quale, come hai spiegato sui social, hai lavorato per tre anni. Vorrei capire un po’ com’è andato il processo decisionale alla base della scelta “usciamo lo stesso”/”spostiamo tutto”…
Mah guarda insieme all’etichetta ci abbiamo pensato un attimo, mezz’ora, il tempo di una telefonata perché non c’era modo di vedersi. Abbiamo pensato che sarebbe stata una non volontà di affrontare quello che la vita ti mette davanti. La pretesa di trovare il momento perfetto che in realtà non esiste e te lo devi creare. Le cose vanno così: il disco era pronto, avevamo anche la voglia di farlo ascoltare. Era fondamentale anche andare a suonarlo, avevo anche le date in giro.
Ci tengo molto al rapporto con chi ascolta la mia musica, mi piace andarli a toccare fisicamente, dopo il concerto discuti, parli, ti scambi le cose. Però nonostante il fatto che sarebbe venuto a mancare questo scambio ho ritenuto che le cose comunque scorrono, vanno avanti e se c’è una difficoltà occorre affrontarla. Le stelle hanno voluto che mi trovassi di fronte a questa situazione, dopo tre anni di lavoro sul disco, con la testa sempre lì per limare le cose, incontrare questo periodo qua ti mette un po’ di sconforto. Però le cose vanno avanti, vanno affrontate con coraggio e io non mi tiro indietro. Per me è importante non farsi piegare dalle cose ma affrontarle di petto.
Ricordo di averti visto al MEI di due anni fa e di essere rimasto estremamente colpito dalla carica e dalla dinamica del tuo show, molto “fisico” benché fossi da solo con la chitarra sul palco… Come (non quando) ti aspetti che ripartiranno gli eventi dal vivo? Te lo vedi un tuo concerto con la gente a distanza obbligatoria di un metro e 82?
Be’ se ti ho fatto questo effetto vuol dire che qualcosa è restato: quella fisicità crea la situazione di scambio, dove tu prendi quello che senti dal pubblico che sta lì e si prende bene, è partecipe, è colpito dalle parole, dal movimento. Io sono abituato a dare tutto quello che ho in quel momento, non sto a pensarci e faccio quello che mi sento.
Venendo meno questo tipo di coinvolgimento non so come sarà. Io sono un po’ come san Tommaso: se non ho la riprova delle cose faccio fatica a crederci. Mi sono stupito in questo periodo durante le dirette che ho fatto. Fatte non per vanità ma per supportare nel mio piccolo alcune realtà sanitarie che conosco. Ciò che mi ha stupito è che a tratti mi sono emozionato a cantare, davanti a uno schermo, da solo in camera, lontano dalle persone che stavano ascoltando. Questa è una cosa che non davo assolutamente per scontato: chi avrebbe mai pensato che mi sarei emozionato cantando una canzone davanti allo schermo?
Chiaramente ti senti straniato: nel momento in cui finisce la canzone, hai dato tutto te stesso, chiudendo gli occhi, emozionandoti, però non ricevi nulla se non un commento o una faccia a cuore, che va benissimo, però…
Non saprei: se dovesse succedere con questo tipo di concerti forse bisognerà lavorare di immaginazione pensando che si sia tutti attaccati. Ma poi non ci credo, un concerto seduti non ha senso… Ma non si dà niente per scontato. Non so cosa proverò.
Ovviamente l’album si chiama come la prima canzone del disco. Ma che cosa simboleggia il “Corallo” che hai scelto anche per la copertina?
Il corallo rappresenta le cose che stanno più a fondo rispetto alla superficie. I rapporti con le persone a cui vuoi bene, con cui hai passato momenti importanti. Andare a scavare nel lato umano dei rapporti. Se poi ti conosci in maniera più approfondita scopri lati nuovi. E una volta raggiunte queste profondità che sono nascoste e misteriose, vanno protette. Una piccola biblioteca delle cose che ho vissuto negli ultimi tre anni e che ho voluto mettere su disco.
Secondo me sei fra i migliori su piazza per quanto riguarda le canzoni che esprimono una forte delusione. Penso a “Blatte”, ovviamente, ma direi che “Non ti prendo la mano” si muove su percorsi simili…
Guarda io scrivo le canzoni se ho qualcosa da dire, se no non le scrivo. Se una cosa mi ha toccato e provocato sensazioni penso che sia una cosa degna di cui parlare. Non mi interessa fare una canzone sul sole che è giallo, potrei farla, forse l’ho anche fatta in passato. Ma mi interessa parlare di cose che in primis a me danno una sensazione vera, qualcosa di onesto.
Poi è ovvio che le delusioni, come i momenti bellissimi, li abbiamo tutti. Ci sono anche sprazzi pieni di speranza nel disco e nelle mie canzoni. Quindi forse è un po’ riduttiva questa cosa delle delusioni… Anche se capisco che il tuo era un complimento.
Secondo me oltre alla delusione c’è anche molto coraggio nel dire le cose, votato alla speranza di trovare persone migliori. Tra l’altro non è semplice parlare di certe cose: anche scegliere di cantare la parola “odio” non è facile, non è come dire “tramonto”. “Blatte” è stata una canzone fondamentale per il mio modo di scrivere. Mi sono messo in gioco parlando in maniera diretta di una cosa di cui non avevo parlato prima.
Poi non tutti hanno il metro di giudizio per interpretare i testi e quindi passa di più il discorso della delusione, ma è giusto così. A me le strade semplici non piacciono: qualcuno va in montagna e fa la passeggiata sul sentiero del Cai, bello e pulito. A me piace andare a caso nel burrone e aprire magari una strada nuova o una scorciatoia.
Peraltro in sede di recensione ho scritto che ti ricordavo più arrabbiato, tutto sommato. Anche musicalmente. È stata una scelta consapevole quella di calmare le acque oppure è arrivata in modo spontaneo?
No io non ci penso a queste cose quando faccio le canzoni. Cerco di fotografare in maniera sincera le cose che mi vengono, senza limiti. Mi piace giocare con i generi musicali, mi piace filtrarli e poi sputarli. Non faccio delle cernite. A me piacciono i contrasti, l’agrodolce, quando si riesce a piangere con il sorriso o ridere piangendo. Un pezzo come “Arcobaleno” per esempio ha un testo che contiene cose che volevo dire e però la musica può sembrare sognante.
Ora che siete a contatto continuo, chi rischia di influenzare di più l’altro, tra te e Letizia (la cantautrice Maria Antonietta, con cui ha un legame sentimentale, Ndr)?
In realtà non si aspetta una quarantena per influenzarsi. Sono scambi di ping pong: ognuno ha la sua battuta e la sua risposta… Va be’ tu la stai buttando in gag…
Ovviamente…
Ci si scambiano continuamente le cose che sono nell’aria. Le captiamo in maniera simile entrambi, poi ne discutiamo, anche lasciandole elaborare. C’è sempre stato un rapporto di crescita insieme, seguendo i suoi dischi, arrangiandoli e producendoli e lei lo stesso per me, mi ha sempre dato pareri importanti… C’è un rapporto sano e profondo, perché non è semplice parlare delle cose che stai facendo a un altro che fa la stessa cosa tua.
Sei molto vulnerabile in certi momenti e una critica può fare anche male. Il nostro è un rapporto che ti permette di andare molto in profondità. Anche a costo di “scottarsi”. Però è bello così.
Vorrei sapere che tipo di esperienza è stata suonare la chitarra per Calcutta nel tour di “Evergreen”. E se lo rifaresti.
È stata un’esperienza molto bella: a livello umano c’è una squadra molto compatta, Edoardo è molto bravo a mettere insieme le persone. Oltre a essere dei bravissimi musicisti, c’è stata una magnifica atmosfera, abbiamo suonato in posti bellissimi in cui non avevo mai suonato. Ho imparato un sacco.
Lo rifarei? Credo di sì, mi piacerebbe approfondire la questione, si era creata una cosa che mi era piaciuta molto. Però io credo che le cose che devono succedere perché ci sono delle congiunzioni astrali che fanno sì che accadano… Del futuro non ho idea.
Fabio Alcini