Si chiama Continentale il primo album di Contini, ex Il Genio. L’album è stato registrato in collaborazione con Giovanni Calella che ha curato gli arrangiamenti e la produzione artistica.
Un pop elegante, blasé e altri aggettivi francesi incomprensibili accentati, un po’ vintage, con riferimenti italiani e internazionali abbastanza chiari ma anche con molta personalità e uno stile ben distinto.
“Lavorare al mio disco solista è stato come riscoprire il mio continente interiore. Ogni canzone è una tappa, un breve episodio del mio viaggio personale che ho deciso di rivelare agli altri. E, in questo disco, io non sono un Genio”.
Contini traccia per traccia
Inizia a cantare con un certo qual ritardo, Contini, contrariamente a quello che forse ci si poteva aspettare. Per dire, su Calypso, che apre il disco, si nasconde, in maniera etimologicamente corretta (questa la capiscono solo quelli che hanno fatto il Classico, va be’): l’introduzione guizza di qui e di là ma è soltanto strumentale.
Ma se la signora si fa attendere, poi arriva e riempie la stanza: Deserta avvia un discorso fascinoso e morbido, con sensualità pop quasi involontaria.
Io vivo qui ha un ritmo marcato e si aggira in modo circospetto, fra atmosfere cupe e un po’ tese.
Un insospettabile lavoro ritmico intimo emerge da Mucho Macho, che a dispetto del titolo un po’ risibile rivela un’anima power pop condita di vari elementi sonori corroboranti.
Il singolo Complimenti arriva con un po’ di risentimento, anche qui espresso con una sezione ritmica costante.
E si continua a marcare il territorio con Giorno dopo Giorno: l’argomento è sempre o quasi una relazione sentimentale, ma i vestiti sono sempre diversi. Qui si attraversano le sensazioni di tutto il calendario, con un po’ di chitarra e un po’ di elettronica.
Oscurità morbide nelle quali nascondersi non è difficile: L’ultima sera parla di attese interrotte e di strade alternative che a un certo punto si devono prendere, con la batteria che tira qualche frustata in sottofondo.
Carillon e meccanismi introducono l’intermezzo L’amore può durare?, domanda che giustamente rimane senza risposta. Parte così Come non detto, comunicazione ostacolata e ancora basata su un drumming muscolare che contrasta bene con la voce gentile.
Si rallenta d’improvviso con La misura della felicità, voce e chitarra e un po’ di desolazione inaspettata.
Un’ultima esplorazione chiude i conti, il viaggio che parte Da Atlantide, un po’ brit nell’incedere, ancora propensa a un drumming molto sonoro, ma con il ritmo che è sottolineato anche dal pianoforte. Il testo parla di viaggi stellari che però sono più interiori che astronomici. Poi il brano si spezza lasciando spazio a rumori pseudomarini, prima di ripartire verso un finale curioso e quasi progressive.
Può anche risultare irritante, Contini. Perché può non piacerti la voce, l’atteggiamento, le canzoni. Però è difficile rimanere indifferenti rispetto a uno stile magari non del tutto unico (be’ non se guardi agli anni Sessanta francesi, almeno) ma decisamente notevole e brillante.
Peraltro ci sono alcuni livelli da superare, come nei videogame: se ci si ferma alla superficie si riconoscono canzoni carine, retrò, facili da ascoltare. Sotto la pellicola però ci sono pezzi scritti bene, a volte perfetti, conditi da fascino innegabile, con un ventaglio di influenze molto vasto, che parte dai Garbage e arriva a Viola Valentino. Un ingrediente più necessario che semplicemente utile per la scena pop italiana.
