Crampo Eighteen: la musica è condivisione

I pugliesi Crampo Eighteen hanno appena pubblicato il proprio nuovo album, Mother Cloud, e per capirne qualcosa di più abbiamo rivolto loro qualche domanda.

Come nasce il vostro progetto?

N. C. Nasce spontaneamente, sentivo che musicalmente avevo ancora molto da dire, avevo una urgenza creativa che dovevo in qualche modo soddisfare, così ho registrato alcuni brani in cui ho suonato tutti gli strumenti tranne la batteria per la quale ho chiesto aiuto ad alcuni musicisti della scena rock barese.

Da queste takes sono nati i primi due ep pubblicati su cd nel 2016 e nel 2018. Da quei brani sono iniziate le prove per portarli live con i miei attuali compagni di band. Da lì in poi il progetto personale è divenuto una vera e propria rock band che ha portato alla realizzazione degli ultimi due dischi full length. La musica è per me condivisione, è un percorso da non fare in autonomia, il mistero che si compie quando i brani prendono forma insieme è sempre sorprendente.

M. D.  Dopo l’ascolto dei primi due lavori di Nino gli dissi che se avesse avuto intenzione di metter su una band mi sarebbe piaciuto contribuire al progetto.

Che cosa significa il nome della band? 

N. C. Crampo è da sempre il mio moniker nato durante il tragitto in auto per il concerto dei Velvet Undergound a Bologna negli anni 90, Eighteen rappresenta l’età musicale adulta, l’esperienza e la libertà di espressione musicale e poi suona bene, meglio di seventeen (aahahah)

Quali sono le ispirazioni alla base del nuovo disco?

N. C. Seppur eterogeneo musicalmente, Mother Cloud è un concept album, le liriche dei brani sono una sorta di preghiera di liberazione dai mali dell’umanità, laddove sembrino rivolgersi ad un amore femminile in realtà stanno parlando alla nostra Madre Terra, la Madre Nuvola del titolo, che è colei che laverà con la pioggia tutte le storture del nostro tempo.

Le  immagini e i  paradossi descritti nei testi sono interpretabili attraverso una lettura spirituale, come nel verso  “acqua Santa da bere” citata nel brano With My Hand o nei viaggi spaziali descritti in Ocean e JC. Il tutto condito da sonorità al contempo sanguigne e ammaliatrici come nell’eterno dualismo tra bene e male. 

M. D. Ciò che ispira me è cercare di emozionare chi ascolterà i nostri brani, in modo che provi le nostre stesse sensazioni. 

V. S. Mi piace dare sempre un tiro rock anche a quei pezzi che vengono presentati da Nino come ballate, nelle demo che porta in sala prove. È il modo di pormi  dietro la batteria. Tiro fuori sempre un po’ di veleno che ho dentro. Spero che in qualche modo questa tensione si possa sentire nel disco. 

Che punti di riferimento musicali avete? 

N. C. Personalmente ascolto tantissima musica senza fare distinzioni di genere, l’importante è che mi emozioni. Chiaramente quando compongo, tutto il mio background musicale riecheggia nella mia testa e inconsciamente si riversa in quello che scrivo. E mi riferisco soprattutto agli ascolti di gioventù ai quali siamo tutti inesorabilmente legati, parlo quindi di Seattle sound, stoner, psichedelia, garage rock. I miei miti musicali sono Nick Cave e David Bowie. Non mi entusiasma invece il revival post punk che sta esportando l’UK in questo periodo. Attualmente sono immerso in una riscoperta dei dischi della Motown, soul, doo wop, gospel. 

M. D. Sicuramente la psichedelia e il blues più oscuro del Delta. 

V. S. Per quanto mi riguarda, tutto ciò che esprima emotività. Che ti faccia fermare ad ascoltare le sfumature. E questo mi permette di spaziare dai Beatles agli Unsane, dai Blur ai Black Angels, dai Sonic Youth a Boygenius. 

Idealmente, in quali situazioni immaginate sia meglio ascoltare un disco come il vostro?

N. C. Mother Cloud è un disco più solare dei precedenti, è potente ma fresco, con un suono che io definisco croccante. È stato scritto a cavallo di un periodo ricco di soddisfazioni per la band. Come musicisti vogliamo solo divertirci e far divertire, ma anche emozionare, per questo motivo penso che lo si possa ascoltare sia su un dance floor, sia in cuffia nella propria cameretta a sognare un mondo nuovo e migliore di questo. 

M. D. Alla guida di una cabrio su strade interminabili con il vento che ti scompiglia i capelli e una bottiglia di bourbon sul sedile. 

V. S. Alla guida indubbiamente, possibilmente con volume quasi assordante, abbiamo un suono ruvido ma contemporaneamente delicato. Il viaggio, in particolare quando sei solo con la strada, può darti la possibilità di viaggiare anche con la mente, di captare le tantissime melodie e farle tue.

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