Spezzatino Porcino è un disco in cui Fabio Fabio (Marco Foresta e Mattia Ricco) vaga tra tribalismo, ritmi lenti e frammenti di momenti casuali di Rai Radio 3 e suoni dei boschi canavesani, passeggiate che diventano esplorazioni di una misteriosa giungla tropicale: un uomo di provincia muta in uomo di mondo.
Immaginiamo di visitare una vecchia villa abbandonata, immersa nel bosco, ripresa dal bosco, ogni stanza risuona differente, disordinata, immobile e serena. Ogni porta cela il potere di un luogo inquieto di memorie asimmetriche e sbriciolate: l’allora che diventa adesso. Filastrocche pagane che trasudano dalle pareti. Un frullato promiscuo che possiede una densità di suono dalla forma selvaggia, artigianale e spiritosa: questa è la chiave per decifrare la ricetta dello Spezzatino Porcino
Fabio Fabio traccia per traccia
L’inizio del lavoro è riservato a Duorme, una session piuttosto lunga ed esplorativa tra suoni naturali e sintetici, come un lungo dialogo che attraversa fasi differenti e si trasforma nel farlo. Voci disarticolate e risonanze sinistre caratterizzano le varie fasi, con una seconda parte che finisce per scegliere un ritmo e ballarci sopra.
Si procede con la title track Spezzatino Porcino, che instilla sensazioni ondulate e modulate, con le percussioni a dettare il ritmo, fino a qualche tipo di parossismo sonoro.
Altra esplorazione, con qualche caratteristica urban, si accenna con Gioggiò, per un volume sonoro che si sviluppa in ampiezza, con lunga coda sonora finale, gestita dagli archi e poi sfumata verso panorami oscuri.
Articolate percussioni tribali aprono Diventano alberi, alimentata anche da cori solenni in lontananza. Poi parte un movimento fluido e interno, che nella coda si trasforma in sussurri e inquietudine.
Dimmelo dammelo, come in un’antica filastrocca, si muove con goffaggine sulle prime, salvo accogliere movimenti aerei e leggeri al proprio interno. Con Du Brasil ci si sposta prevedibilmente ai tropici, per un altro lungo viaggio guidato dalle percussioni. Si chiude con Tre voci al rave, più inquieta e carica di tensione rispetto al resto dell’album.
La sperimentazione non manca nel disco di Fabio Fabio, che procura paesaggi sonori di vario genere. Muovendosi agilmente tra suoni sintetici e ritmi tribali, l’opera rimane viva dall’inizio alla fine del disco.