Nelle vie strette e ricche di sensazioni vinose di Nizza Monferrato, sulle morbide e ondulate colline dell’Astigiano, si celebra Fans Out 2018, piacevole evento che, accanto a una fiera del vinile, allo street food, ai Buddha, agli incensi, ai quadretti da bancarella estiva, ospita un festival musicale di tutto rispetto. Non arriviamo alla fama e alla ricchezza della non lontana Barolo (ma poi fra qualche anno chissà), ma i due palchi dell’evento nicese scelgono buoni protagonisti per una serata calda di giugno.
Il festival è gratuito e la denominazione è figlia di un gioco di parole dialettale che significa “fai un salto”. Ma non basterà un salto solo, lungo la serata, come si vedrà.
Il palco “pomeridiano”, battezzato Cheat Ma(n) Boon, apre (in chiaro ritardo) con Jacopo Perosino, torinese ma cresciuto ad Asti e quindi quasi enfant du pays. Cantautore pluripremiato, porta sul palco principalmente i pezzi del suo primo disco solista, Retrò, per un set piuttosto propenso all’acustico ma capace di improvvise conversioni verso il blues elettrico.
Fans Out: Edoardo Chiesa, osservatore non distaccato
Si entra poi nel vivo con un altro cantautore, Edoardo Chiesa, da Varazze, forte di due dischi come Canzoni sull’alternativa e Le nuvole si spostano comunque, amati dalla critica e che hanno convinto anche il pubblico.

Chiesa si presenta con una formazione a tre elementi: chitarra elettrica, basso e un’acustica che gestisce in proprio. Occhiali scuri tutti e tre, ma del resto c’è ancora il sole; Edoardo li toglierà a breve. Se non fossi già stato qui, dal primo disco, apre il set su toni moderati ma anche con qualche eco evocativa.
Voci è presentata come “molto particolare”, perché nel disco nuovo, registrato in presa diretta, è uscita alla prima take, e il fatto che sia piuttosto “sentita”, ancorché essenziale, si avverte anche nella versione live. Domenica porta un pizzico di ironia, anche se non priva di amarezza.
Dopo un autospot sul disco, ecco Occhi: c’è sempre la chitarra acustica a guidare suoni e pensieri, con un fondo di tristezza che si manifesta spesso. La canzone è contemplativa per definizione, ma lo sguardo di Chiesa non risulta mai troppo distaccato dall’oggetto dell’osservazione.
Blues acidello ma molto movimentato, Pioveva è ulteriormente animata da un vasto assolo elettrico di Stefano Bergonzi. Giochi d’eco su Tempo piccolo, cover di Califano già riletta anche dai Tiromancino, che prevede saliscendi, trabocchetti, tunnel e deviazioni sonore. Perfettamente in tema con il resto del repertorio, anche in questo caso mette in evidenza l’abilità dei due musicisti che affiancano Chiesa.
Se fossi in te passa a discorsi incattiviti, prima che Dietro al tempo prosegua su trame più morbide e attenuate. Chiesa chiude con Nati vecchi, una professione di scarso ottimismo offerta con un mezzo sorriso e influenze folk. Il cantautore ligure regala una serata in cui, pur parlando spesso di solitudine, riesce a comunicare in maniera molto diretta, sia nelle canzoni più lineari sia in quelle più stratificate.
Fans Out: la festa multietnica dei Saber Système
Tocca poi ai Saber Système organizzare un set decisamente diverso: il combo di origine cuneese propone le proprie influenze occitane e internazionali in una forma che propende spesso verso il danzereccio. Lo conferma l’apertura, con Parla pas, in cui il mélange di colori, voci, suoni e strumenti non sempre ordinari (tipo la ghironda) si scontra con qualche problema tecnico iniziale.

La libertà parla di opportunità e mette in rilievo come la giovane età e la voglia di divertirsi della band, che nel frattempo ha carburato, non implichi occhi chiusi sulla realtà circostante.
Tempo due canzoni e il pubblico, fin lì soddisfatto ma seduto, salta nel ritmo del “gruppo più promettente della provincia”, come da autodefinizione, in cui c’è più convinzione che ironia. Se su disco alcuni dei brani hanno una prevalenza dell’elettronica che li appiattisce un po’, qui emerge soprattutto la forza sanguigna e giovane del gruppo, con il colpo d’occhio coloratissimo di sei ragazze e un ragazzo molto felici di essere al centro della scena.
Forti radici tradizionali passano al frullatore e incontrano motivi dance, soul, synth pop senza scontrarsi con limiti o impedimenti. L’energia dei sette ragazzi trionfa nelle vie strette di Nizza, regalando soltanto sorrisi, con canzoni che parlano de L’amitié, di rapporti contrastati (Mary), oppure che celebrano soprattutto se stesse, come Ikaye.
Nuevo Mundo, title track del disco d’esordio della band, parla di mondi nuovi pescando da ritmiche antiche e latine. Sapori africani invece in Saber décalé, ma come al solito non in purezza, visti gli inserti di folk celtico (Africa e Celti? Che roba politicamente scorretta, oggi come oggi) per un gruppo che fa della mescolanza una raison d’être.
Si va verso la fine tra sogni da realizzare, voglia di rivincita e altre professioni d’ottimismo offerte con doppi strati acustici e elettronici. Anche qualche inedito nella coda, come l’altra storia africana Regardez moi e con una polemica verso i “padroni della musica afro in Italia” ne Les papa. Il finale è lungamente rimandato ma conferma istinti e formule nei pezzi che oscillano tra puro divertimento e qualche “dedica” antirazzista.
Ritmo e divertimento sembrano gli ingredienti base del gruppo cuneese, ma è bene non fermarsi alla superficie di un gruppo che (quasi sempre) suona davvero e conosce già molte modalità efficaci di stare sul palco e di coinvolgere il pubblico. E se qui e là spunta qualche tratto naïf, non fa che arrotondare il giudizio.
Fans Out 2018: Manitoba, sostanza rock e colpi di sciabola

Nel frattempo sul palco Tak(e) a Banda è iniziata l’esibizione dei Manitoba, nati come duo ma allargati a quattro per la performance live, già assurti a un certo grado di attenzione grazie a un disco alternative ma anche molto melodico come Divorami.
Non è una band difficile da accendere: per esempio con Andiamo fuori, in crescita elettrica continua e molto jopliniana, basata sulla forza del basso e sulla sostanza delle vibrazioni, ma indubbiamente anche sulla performance e sulla chioma fiammeggiante di Giorgia Rossi Monti.
Pezzi come Si ritorna a casa passano a modi più melodici ma non meno appassionati. Lo show gioca di sciabola e di sciabola un po’ meno tagliente, con sprazzi di sensualità ostentata e sempre ricca di sostanza rock ora piu vicina al punk, ora con idee più vicine al blues.
I pezzi migliori del disco, come Hollywood Pompei, lasciano segni evidenti anche sul pubblico, scarsino in verità, ma molto partecipe. Anche la title track Divorami sfila con buona sostanza. Anche Mosche si basa su equilibri leggeri ma intensi fra rock, pop e qualche spruzzata blues.
La chiusura del set è affidata a un altro dei brani più trascinanti, quella Dio nei miei jeans che apriva l’album e che è palesemente tra le più amate della band. Un’esibizione breve ma estremamente energica: l’impressione è che quando la band avrà costruito ancora un po’ e avrà pubblicato un altro disco avrà anche un impatto molto più vasto dal vivo.
Fans Out: Eugenio in via di Gioia, genio & cubi di Rubik
Nel frattempo la piazza, sotto l’orologio della possente torre civica, si è riempita più o meno del tutto, pronta ad accogliere il successo costruito con pazienza, e sempre ridendo, dei torinesi Eugenio in Via di Gioia.

Con un’entrata in scena da star, Silenzio accende il cantato delle numerose fan di prime file e non. Fin dai primi secondi è evidente che la band ha sviluppato un’esperienza live sufficiente a regalare la padronanza totale della scena, ottenuta anche grazie a un gigioneggiamento immediato, continuo ma controllato: si prosegue con Sette camicie, che scatena un pubblico già decisamente caldo.
Il gruppo schiera tutte le forze in un attacco frontale. Da sinistra a destra: tastiera (e fisarmonica), voce e chitarra acustica, basso, batteria nonché seconda voce molto dialogante. Uno schieramento democratico che mette in rilievo come, benché il cantante sia evidentemente il frontman, tutti interagiscano allo stesso livello e ognuno secondo il proprio carattere. L’assenza di chitarre elettriche sottolinea sia le ascendenze cantautorali tradizionali, ancorché ruminate in modo sempre originale, sia la centralità della voce e del testo.
Il numero (un po’ da circo) del cubo di Rubik contrassegna Prima di tutto ho inventato me stesso (dall’ormai lontano ep Urrà, da cui più tardi estrarranno anche Emilia): si fa mischiare il cubo dal pubblico, poi il cantante Eugenio lo risolve mentre suona e canta uno dei pezzi più “intellettuali”, con un creatore in salsa blues.
Giovani illuminati viaggia in libertà con giochi di parole e con armonie vocali ben costruite e con una frequenti iniezioni di cabaret. Si viaggia su ritmi alti con pause riempite comunque dalle iniziative estemporanee di Eugenio e compagni.
Particolarmente d’impatto Obiezione, che scopre di nuovo i lati di pensiero approfondito e alcuni dei nervi scoperti della band. Selezione naturale, che su disco è nata da una collaborazione con Willie Peyote, gratta il fondo della piazza e si lega con le forze negative, operando una selezione dei suoni che favorisce lo stomaco e che si avvita intorno al ritornello provocatorio “Più bulli e meno ciccioni”.
Del resto, che il punto di vista della band sia spesso contenuto in testi scritti al contrario rispetto alla nozione comune lo confermano anche pezzi più intimi e meno ridanciani, come Chiodo fisso (“io non mi prenderò mai cura di te”), che squarcia non pochi giovani cuori nelle prime file.
Si ripesca dal primo disco (Lorenzo Federici, che poi è il nome del bassista, l’unico non coinvolto nella denominazione della band e quindi destinatario dell’omaggio dell’esordio) la molto prolungata Pam: una gita surreale al supermercato a caccia di prugne e di offerte, con intermezzi coreografati (più o meno) e dialoghi tra cantante e tastierista.
Continua il percorso tra salti, balli, provocazioni, testi intelligenti, gite del cantante giù dal palco; come se il coinvolgimento non fosse mai sufficiente, come se la carica non bastasse mai, come se servisse sempre qualcosa in più. Alla fine è un trionfo totale per la band, che continua la strada della propria generosità distribuendosi per la piazza tra opportunità di selfie e ulteriori esisbizioni.
Fans Out: Ron Gallo e un finale sperimentale
Teorico headliner nonché unico ospite straniero della serata, Ron Gallo parte in modo da sconcertare i più con una cover zuccherosa di Something Stupid, classico di Carson Parks rifatta principalmente da Sinatra giù giù e via via fino all’inutile e irritante Robbie Williams con Nicole Kidman.
Ma è una maschera che scivola in fretta: il punk è dietro l’angolo e arriva subito. Cappellino, salopette da super Mario Bros, calzini gialli, sguardo da assassino, Gallo sconvolge ulteriormente la calma cittadina monferrina picchiando con forza.

Qualche gag si infila anche nel programma molto percussivo di Gallo e amici, per esempio quando il batterista lancia in aria la bacchetta e manca clamorosamente la presa (“Me despiaceh”. Ok, amico, succede ai migliori).
Il set si rivela estremo e molto muscolare, con numerose variabili vocali di Ron che porta la voce al limite del falsetto, di tanto in tanto. Pezzi come YouTubular rischiano di provocare qualche mal di testa agli anziani presenti sulla piazza. Vengono in mente i Nirvana e molti esempi pre-Nirvana, Melvins in testa, come numi tutelari di brani virulenti e ossessionanti.
Gallo riesce anche a rallentare un po’ ma non smette mai di fare rumore. Emotional Impact for Sale si basa su armonie vocali e ascendenze blues. Dal blues, peraltro, si fa presto a svoltare verso psichedelia ed effetti in una seconda metà del set un po’ meno incendiaria rispetto alla prima (ma solo un po’).
Gallo molla anche la chitarra lasciando alla sola sezione ritmica la parte strumentale, mentre scende a livello del pubblico a dare qualche cinque urlando forte nel microfono con fare indignato. Alle sue spalle, boati di batteria e tremori di basso.
Il cantautore, che ha esordito nel 2017 con Heavy Meta, perde anche il cappellino per eccessi di foga e rimane a esibire i folti ricci. Il suo strano e originale mix di vocalità, generi, follia improvvisa è sperimentale ma anche energico al punto giusto da entusiasmare la piazza, ormai piena soltanto per metà.
Fans Out: un’edizione di successo
Se si deve giudicare soltanto dal numero dei presenti, tutto sommato un festival gratuito e con buoni nomi nazionali e internazionali avrebbe potuto richiamare qualche presenza in più, in un caldo sabato di giugno.
Tuttavia la scaletta scelta dagli organizzatori ha avuto punto di coraggio: Ron Gallo per esempio non è personaggio proprio popular e comunque nessuno degli artisti coinvolti ha più di due lp alle spalle, quindi non si è scelta la fama consolidata ma piuttosto una proposta fresca, eterogenea e originale. Con risultati per lo più molto convincenti.
Testo e foto di Fabio Alcini