Canzoni Part Time è l’ep che segna l’esordio del cantautore piemontese Filippo D’Erasmo. L’ep contiene cinque canzoni, tra cui l’ultimo singolo Norimberga. Nel disco si raccontano storie di rivalsa sociale, quali Zion Shaver, sfoghi personali come in Milano, Ilaria e la Nebbia, ma ci sono anche canzoni più oniriche ed erotiche come Anna.

Il titolo gioca su un periodo in cui Filippo si è trovato a vivere la sua vita appunto part time: il lavoro, la musica, la propria relazione e quella sensazione di essere sempre diviso tra due poli. Ecco cosa ci ha raccontato…

Spiegaci perché hai scelto questo nome d’arte (che specifichiamo, non è il tuo nome e cognome)

In realtà lo è in parte. Filippo è il mio vero cognome, D’Erasmo invece è uno pseudonimo. Mi piacevano il suono e le suggestioni che evoca. In molti mi chiedono se ci sia qualche riferimento a Erasmo da Rotterdam, l’autore dell’Elogio alla Follia. Sebbene sia stato un libro che ho adorato, a tal punto di inserirlo nella mia tesina alle superiori, la verità è che non c’è nessun collegamento. E no, non sono nemmeno il figlio illegittimo di Rodrigo D’Erasmo (violinista Afterhours), forse…

“Canzoni part time” è la fotografia di un momento preciso della tua vita, quello in cui ti dividevi tra mille cose da fare e ti sembrava di essere sempre diviso a metà. Adesso come va?

Diciamo che la sensazione di essere sempre al centro di due poli, che tirano da parti opposte, quella rimane. Però crescendo ho imparato a gestire meglio il mio tempo, dedicandomi a poche cose ma nel modo migliore possibile, e a dare a persone a cui tengo davvero, parte del mio tempo, senza disperderlo e disperdermi.

Sono nella fase della mia vita in cui ho riportato la musica al centro, che per me era ed è qualcosa di fondamentale, ho capito quali sono le mie priorità. Questo per me rappresenta un grandissimo passo, ora sto solo agendo per concretizzare il tutto nelle cose pratiche.

“Monica sulla spiaggia di follonica” è un po’ il manifesto di quello che è il mood di tutto l’ep. Un ibrido tra sonorità acustiche e suoni elettronici. Qual è l’effetto finale che volevi ottenere?

Mi piaceva l’idea di far convivere nella stessa canzone atmosfere vintage e strumenti acustici, con le macchine elettroniche. Nel pezzo infatti vanno a braccetto tappeti di archi con batterie elettroniche, chitarre acustiche con sintetizzatori. Questo connubio tra l’analogico e il digitale che ho scelto negli arrangiamenti, è quello che mi piacerebbe portare anche live (sperando si possa tornare a suonare dal vivo il più presto possibile).

In quale epoca ti sarebbe piaciuto nascere e perché?

Ho di recente scoperto che esiste una parola finlandese che esprime la nostalgia di epoche mai vissute: kaukokaipuu. Sono certo di soffrirne. Ho sempre avuto fascino per la Grecia antica, la culla dell’apice della consapevolezza umana, dal punto di vista umanistico e filosofico.

Personaggi come Socrate e Platone erano davvero dei mentori assurdi, grandi maestri detentori di una immensa saggezza. Per motivi invece molto più beceri e terreni, diciamo che anche l’idea medioevale di galoppare sul mio fedele destriero alla ricerca di damigelle da importunare, è un’idea che mi diverte. “L’amore sacro e l’amor profano”.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Sono molto modesti in fondo: scrivere un disco così importante da entrare a far parte della storia della musica italiana. Scherzi a parte, cercare di migliorare sempre, di scrivere canzoni che possano toccare in profondità le persone. Poi produrre dischi al meglio delle possibilità, collaborare con professionisti in gamba e artisti cazzuti, mettermi alla prova e ricavarmi il mio giusto spazio in questa giungla meravigliosa che è la musica.

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