Disponibile in digital download, in streaming e in formato fisico WoodCock (Maninalto! Records, Believe, Self), il nuovo disco degli Iron Mais, formazione che dal 2015 propone originali brani inediti, rivisita i maggiori successi della storia in un mix che amalgama rock, folk, bluegrass, punk, country e incisi western.
Iron Mais traccia per traccia
Si parte dall’inedita Sole, che danza sui ritmi del combat folk punkeggiante, cantata con voce che striscia e gratta, mentre il violino regala un po’ di pathos.
Ecco poi la prima cover: Jump dei Van Halen, qui proposta con voce femminile e un passo avventuroso e un po’ contreggiante.
Il metallo dei Manowar di King of Metal risulta un po’ trasfigurato, anche se non per questioni di vocalità, in questa versione, con qualche coretto e una certa intensità.
Meno metal (ma non ci si dimentichi il contributo fondamentale di Eddie Van Halen in questo specifico pezzo di storia del pop), ecco poi Thriller, classicissimo di Michael Jackson.
Forse più adatta alla versione simil Pogues che ne esce, ecco poi I Fought The Law, canzone ribelle per eccellenza, originariamente dei Crickets, ma resa celebre soprattutto dai Clash, di cui qui si rispetta almeno la struttura (e i cori).
Impossibile non abbozzare almeno un sorriso quando parte il riff iniziale di The Final Countdown degli Europe, fatta però al violino. Poi si rallenta di botto e il pezzo diventa quasi una ballad.
Si osa parecchio con un monumento come Whole Lotta Love, architrave della storia zeppeliniana, qui proposta in maniera particolarmente elaborata e dettagliata nei suoni. Ne risulta un duetto vocale, con tutta la potenza agreste della band dispiegata.
John Fogerty e i suoi Creedence Clearwater Revival sono forse la band più vicina al folk tra quelle rievocate dagli Iron Mais: Proud Mary risulta leggermente più accelerata, gutturale e, forse per contrasto, piuttosto elettrica.
Tocca poi ai Pennywise di Bro Hymn, piuttosto oscura come colori e umore. Tutt’altra storia per Come Out and Play, targata Offspring e proposta in modo piuttosto ridanciano.
La chiusura è con “il” riff della storia del rock, quello che tutti hanno provato a suonare almeno una volta: Smoke on the water, i Deep Purple che descrivono l’incendio del Casinò di Montreaux, la potenza di un giro di note che qui è restituita con un fittissimo lavoro di archi, oltre che, naturalmente, della chitarra.
Un disco divertente, dove le cover non sono fatte “per maniera” ma frutto di una reinterpretazione significativa. Oltretutto, gli Iron Mais danno l’impressione di essersi divertiti parecchio.