Il cuore è un organo è l’esordio letterario di Francesca Michielin, presentato ai Giardini Luzzati di Genova, nell’Area Archeologica, in compagnia di Maurizio Carucci. Una lunga chiacchierata in cui si è parlato del libro, ma soprattutto del caos da cui l’arte deriva. Che sia un romanzo, una canzone, una forma qualsiasi d’espressione, richiede responsabilità e incoscienza, caos e voglia di cavalcarlo.
“Ho scritto l’incipit del libro dieci anni fa, ero in Toscana. L’estate è una stagione che mi piace ma che mi rende malinconica e nostalgica perché vedo intorno che è tutto secco. Ho pensato in quel momento che il mio romanzo avrebbe dovuto cominciare così” racconta l’autrice, mentre ci immergiamo nel mondo di Verde, Regina e di Amarena, i protagonisti del racconto.
“Non è un romanzo autobiografico, la storia di Verde non è la mia vita, ma conoscendo il mondo della musica mi sono divertita a sottolineare delle cose. Forse qualche tratto di Regina può considerarsi la vera parte autobiografica: io voglio fare la canzone radiofonica, poi suonare Bach e poi ancora coltivare un roseto. Un artista è, non può essere identificato con quello che fa”.
Dieci anni di carriera, sa quello che vuole e non ha paura di mostrarlo. Le critiche arrivate durante Sanremo perché ha diretto l’orchestra nel brano di Emma Marrone sono un esempio della gestione Michielin: “Non devo dimostrare niente a nessuno, come del resto fanno gli uomini. Ho pensato di mostrare i voti dei miei esami, ma poi ho pensato che no, non dovevo”. E ancora “Ho praticamente vissuto una settimana con Emma e mi sono stupita davvero delle domande che le hanno rivolto: si parlava del suo décolleté, di vestiti, di Amici! È assurdo che ci si concentri su certi aspetti quando davanti si ha un’artista del genere. Anche a Elodie hanno detto che vestita in quel modo non può essere presa sul serio. Io penso che conteniamo moltitudini, e che non si possa rifiutare la complessità”.
Ha trovato spazio la collaborazione di entrambi i protagonisti della serata con Fabri Fibra, che nel suo ultimo album duetta su due diverse tracce con Francesca e Maurizio. “Il disco di Fabri Fibra ha avuto un tempo di preparazione lunghissimo, e in un momento in cui tutto è diventato veloce, è una cosa rara. Eppure lui durante la lavorazione si sentiva super fragile, come se dovesse giustificare il silenzio tra un album e l’altro”.
E prosegue: “È come se ogni giorno ci venisse chiedo si fare qualcosa in più, anche rispondere a una mail alle 23. Rallentare sembra regredire, invece è solo una cosa positiva, dovremmo tornare alla stagionalità delle cose. Questo avviene anche per la musica: mi rendo conto di pubblicare tre dischi alla settimana, io che prima pubblicavo un disco ogni tre anni”.
Maurizio Carucci si è soffermato su una delle frasi che più lo ha colpito di Il cuore è un organo: “una canzone è l’altro lato del presente”. Risponde Francesca: “Quando scrivi qualcosa è bello perché è come se gli altri che ascoltano e leggono ti fanno vedere altri aspetti. Quando tu scrivi racconti quello che sentì e provi, il presente non è una cosa sola. Le canzoni rendono questo aspetto prismatico, ognuno si noi vive in maniera diversa, e poi il bello è anche rendermi conto che quando faccio un instore per l’uscita di un nuovo disco le persone mi danno interpretazioni che nemmeno avevo pensato sulle mie canzoni”.
Non è mancata un’analisi del panorama musicale attuale: “Nel 2017 c’è stato un bel fermento, ho percepito che molti artisti volevano rischiare nella loro autenticità: Tommaso Paradiso, Giorgio Poi, Calcutta, io stessa, abbiamo seguito le nostre sensazioni, creando così linguaggio nuovo. Iniziando a comprendere che la spontaneità funzionava, molti ci si sono buttati con furbizia, si è provato a scegliere il mood dell’inettitudine e dell’essere sgangherati musicalmente, si faceva finta di essere un po’ scappati di casa. Così si è creato un gioco diverso, ti viene l’ansia di fare musica, e io voglio vivere il mio tempo, fare il mio disco e poi come va va. Non faccio un disco per quanto venderà”.
E prosegue: “Fare pop non è ammiccare e intercettare una tendenza ma dare la propria versione delle cose. Chi fa pop fa questo. Ho studiato al Conservatorio, i classici riproducono un linguaggio, i jazzisti creano il loro, il pop fa quello che vuole. Non è manierismo, è non poterne fare a meno.“ “Le cose succedono per caso o per caos” racconta Francesca, “mi piace il caos come dimensione in cui non puoi controllare te stesso e devi solo viverti, provare a essere le tue emozioni anche se non sempre le capisci”.
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