Parliamo (con colpevole ritardo, ma non è colpa mia se escono 700 dischi al giorno e qui devo fare tutto io e questa casa non è un albergo) del terzo e nuovo disco dei Fratelli Calafuria: Prove Complesse.

Andrea Volontè e compagni incidono quello che nelle intenzioni è un cambio di direzione verso un suono più garage, e che nella sostanza è un album estremamente divertente ma anche significativo.

Sul lato divertimento si apre subito a ritmi alti con House in affitto, robusta e portatrice dei classici testi surreali di Volontè, probabile apripista anche dal vivo.

Dopo un’intro leggermente noise si parte con la title track Prove complesse, un po’ più meditativa ma anche acida, con scorribande strumentali furiose nel finale.

Cattive compagnie inizia con un classico ritmo di batteria e poi si immerge in un rock molto old style, con un falsetto vagamente Prince, alternato con sapienza a toni da ruggito. Seconda parte dedicata al dubbio fra comprare un carlino e combinare un casino, un bivio che prima o poi ognuno può dover affrontare.

Velocissima e molto mathcore Minigolf, tra le più aggressive del disco. La sezione ritmica impazza e l’idea di buttarsi a capofitto nel minigolf per superare le delusioni amorose, tra l’altro appassionandosi con passaggi quasi metal, è senza dubbio originale.

Ho dipinto abbassa i ritmi ma non i toni e affronta il discorso dell’immagine (scattata, pitturata, disegnata eccetera) con suoni molto carichi. Tipa Inglese ha suoni più cupi del resto del disco, mentre i testi camminano come sempre su un altro piano dell’esistenza.

Difficile tenere ferma la testa su Bionda cenere, che è così tanto garage che infila una citazione di Gershwin proprio all’inizio (ma nel finale ce n’è anche per David Bowie). Si prende, si incarta, si porta via e se ne canta il ritornello in due-tre minuti.

Più via è un pezzo per lo più interlocutorio, ma con spazio per qualche altra gita strumentale in territori confinanti con il jazzcore. Rapida e piuttosto diretta Meraviglia, che si perde dietro riff molto acidi, ma include anche qualche idea hip hop ben eseguita.

E dopo una breve ripresa elettronica di Minigolf (che approfondisce giustamente alcuni aspetti tecnici colpevolmente trascurati nel testo del pezzo primario) parte Sbronzone, altro pezzo ad alta carica punk.

Più morbidi i ritmi di E’ Stata Estate, con un intenso lavoro di batteria e chitarra non troppo minimaliste, anzi con derive piuttosto arabescate e sorprendenti.

La velocità torna alta per Marelungo, che chiude il disco con una carica molto ruvida ma anche con strati differenti di suoni, con il math rock, i Primus e altre pinzillacchere nascoste da qualche parte.

Il primo disco colpisce, il secondo conferma, il terzo cambia passo: di solito funziona così, almeno per le band che funzionano. Qui il cambio di passo c’è, ma c’è anche tantissima sostanza, musicale e testuale.

Ed è sorprendente perché il disco è anche molto divertente, come se si fossero sovrapposte due fette di entertainment a un ripieno di sound contemporaneo, vivo, versatile, complesso ma dalla faccia semplicissima e comunque mai pedante. Qui e là strepitoso.