Gabriele Bombardini ha pubblicato Rossini, Electric Relations, un lavoro che lui stesso definisce “un omaggio a Gioacchino Rossini e rappresenta un viaggio rispettoso, ma non filologico, da cui partire per andare altrove“. Il disco nasce per accompagnare le coreografie e la danza di Daniele Albanese, su commissione del festival Lugocontemporanea (2018). Abbiamo rivolto qualche domanda a Gabriele.
Puoi presentarti ai lettori di TRAKS?
Nel corso degli anni ho attraversato, come musicista, arrangiatore, compositore e produttore diversi generi musicali (rock, jazz, pop, etnica, elettronica), composto musiche per sonorizzare film, cartoni animati, documentari, pubblicità, eventi multimediali. E’ naturale, per me, operare una sintesi di tutte queste esperienze per elaborare un’idea musicale che contenga tutti questi linguaggi.
Le mie influenze musicali sono tante. Fondamentalmente tutta la musica che mi piace, indipendentemente dai generi, mi influenza e mi emoziona. Se devo fare dei nomi, tra i tanti, potrei citare Miles Davis, Wheather Report, Bill Frisell, Daniel Lanois, Brian Eno, Pink Floyd, David Bowie, Gustavo Santaolalla, Thomas Newman, Nils Petter Molvaer.
L’approccio compositivo generale non è quasi mai ortodosso (si pensa al compositore che imbraccia il proprio strumento per inventare una melodia, degli accordi, che scrive sul pentagramma). Il punto di partenza è il suono che mi porta alla creazione di semplici frammenti musicali che vado poi a sviluppare. Tradizionalmente la chitarra in tutte le sue estensioni si presta particolarmente ad essere trattata con effetti elettronici, pedalini e quant’altro. E’ nel dna dello strumento stesso. Anche la pedal steel, pur essendo uno strumento con un forte legame alla tradizione nord americana, si presta tantissimo alla sperimentazione.
Sono innamorato della pittura e quando compongo penso ad una tela su cui aggiungere dei colori, quindi non penso mai in termini di note ma in termini di emozioni e sensazioni che voglio o riesco ad esprimere.
Come nasce “Rossini, Electric Relations”?
Nella primavera 2018, mi è stata commissionata per il festival Lugocontemporanea, la realizzazione di musiche che avessero un legame con Rossini (ricorrevano i 150 anni dalla morte del maestro) per le coreografie del danzatore Daniele Albanese e che ho eseguito dal vivo insieme a Daniele.
Questo lavoro mi è piaciuto molto e ho pensato di farne un disco sviluppando e affinando ulteriormente le musiche che avevo composto o arrangiato per l’occasione.
Confrontarsi con un gigante come il musicista marchigiano per un contemporaneo dev’essere molto complicato. Qual è stato il tuo approccio alle lavorazioni, soprattutto maneggiando uno strumento non proprio popolarissimo ai tempi dell’autore del “Guglielmo Tell”, la chitarra elettrica?
In realtà è stato molto naturale. Mi sono avvicinato al grande maestro con rispetto, ma senza fini filologici. Ho proprio giocato con la musica. Ho ascoltato e letto molto, facendomi guidare dall’istinto. La cosa meravigliosa è stato scoprire come le composizioni di Rossini si prestassero a libere interpretazioni e a riletture anche un po’ estreme, con molta naturalezza.
In un brano del disco, ho suonato una composizione di Matteo Carcassi (chitarrista e compositore dell’800). Magari se fosse qui con noi userebbe una chitarra elettrica.
Quali sono gli aspetti della musica di Rossini che ti colpiscono di più?
Augusto Benemeglio, autore di uno splendido libro su Gioacchino Rossini, così scrive delle composizioni del grande pesarese:
“Una musica che sistematicamente incendiava tutte le convenzioni dell’Opera, portandole a un grado più alto di intensità nervosa, e di emozione, e di choc. La sua musica schiantava i vecchi steccati, era l’irrompere fragoroso eppur controllato di un universo sonoro mai udito prima. La sua era musica estrema. Il segno di una forza e di una energia superiore”.
Non potrei dire meglio.
Hai già in mente come sarà il tuo prossimo disco di composizioni originali?
In realtà è già pronto, si chiama Short Stories. Tutte composizioni molto brevi, come foto o poesie, realizzate quasi totalmente con la pedal steel, un po’ di elettronica analogica e pochissima chitarra. Lo faremo uscire il prossimo anno.
Gabriele Bombardini traccia per traccia
Si parte da un’evocativa Affections, che si muove lenta e sinuosa tra piccoli suoni elettronici, mentre la chitarra pervade gli spazi con il proprio giro.
Il disco procede con gli accordi scarni di N.°1 Introduction “Stabat Mater Dolorosa”, una proposta minimale di chitarra.
Short Story #3 (Rossini Remix) introduce i primi elementi lirici, accompagnandoli da un approccio di chitarra molto più sognante. Il mood però cambia e si fa più energico e dialettico, con qualche apporto sintetico.
In Ouf! si torna a un certo minimalismo e anche a qualche accenno virtuoso, nel vuoto e fra gli echi. Poi movimenti intestini emergono e si fanno strada da sotto.
Le questioni si ammorbidiscono con Guglielmo racconta, che ha toni quasi da desert rock mentre si insinua soffice nelle visioni di chi ascolta. Gli archi rossiniani arrivano a increspare la superficie.
Blues e ritmica “a treno” per Demetrio e Polibio, Aria “Lungi dal Figlio Amato”, uno dei pezzi più speziati del disco.
Dopo la rapida Short Story #1 si passa agli sfarfallamenti elettrico-elettronici di Tancredi è ostinato, dalla tessitura estremamente fitta e ricca.
Molto elaborato ma senza perdere di semplicità è anche il pezzo seguente, Intro 3_Troisième Pot-Purri Des Opera De Rossini (Allegro). Più posato il finale, con le sensazioni minimal di Short Story #12 a chiudere il discorso.
Un lavoro molto interessante dal punto di vista concettuale e della messa in opera, quello di Gabriele Bombardini, che non ha paura di misurarsi con un mostro sacro da cui è separato da 150 anni e più offrendo però la propria visione, abilità e personalità. E senza rimanerne schiacciato.