Gianni Carboni evolve il proprio sound a favore dell’elettronica, senza tralasciare l’energia del rock, nel proprio nuovo album La base (in uscita l’8 dicembre), anticipato dal video del brano omonimo.
Fra due giorni uscirà il tuo nuovo singolo: ci puoi raccontare come nasce?
E’ il frutto di un lunghissimo periodo di studio, sperimentazione, ispirazione e ricerca dentro me stesso. Alla fine dopo quasi tre anni è arrivato La base, un brano in cui mi rispecchio completamente e con cui provo a dire che quello che siamo non è altro che la sommatoria di ciò che facciamo.
Inutile lamentarsi del sistema, della politica, dei poteri forti quando poi nel nostro piccolo non diamo il buon esempio e non facciamo nulla per cambiare le cose ma anzi spesso facciamo l’esatto opposto. Tutti, io, tu, chiunque, nel proprio piccolo, è artefice per la sua parte del posto in cui viviamo. Noi siamo il fulcro di qualsiasi cosa, di qualsiasi cambiamento, di qualsiasi miglioramento o peggioramento. Noi siamo tutto. Noi siamo la base!
Vuoi raccontare qualcosa anche sul video legato al brano?
E’ un video ambizioso e rischioso perché per trasporre questi concetti in immagini e scene servirebbe non un videoclip ma un film se non addirittura una serie di documentari condotti magari da Alberto Angela.
Nonostante ciò ho provato comunque a farlo, consapevole della difficoltà, e credo di esserci riuscito. E’ un video che con leggerezza affronta tematiche profonde e importanti, ma di sicuro non lascia niente al caso e arriva dritto al sodo: dai tu per primo il buon esempio e poi potrai lamentarti, altrimenti meglio tacere. Tutto il resto lo hanno fatto location e protagonista meravigliose.
Su quali presupposti nasce questo tuo secondo disco? Insomma qual è “la base” del disco?
Nasce dalla consapevolezza che è sempre giusto guardarsi alle spalle, ma è altrettanto e anche di più giusto guardare avanti e provare a dire delle cose nuove. La base di questo album è quella di aver avuto come obiettivo l’alzare l’asticella rispetto al passato. Sia nelle tematiche affrontate che negli ambienti sonori costruiti, senza mai prendersi troppo sul serio ma cercando allo stesso tempo di evitare il banale, musicale e testuale.
Ho provato a essere un po’ una voce fuori dal coro rispetto al ‘tutto uguale’ di questo momento storico discografico dove si fa fatica a volte a distinguere le canzoni fra loro in quanto tutte simili, per usare un eufemismo. Ovviamente così facendo rischi e anche tanto, per capirti potrebbe servirti più tempo e di questi tempi sembra che nessuno abbia tempo, ma sono felice di rischiare in questo modo e non mi pento di neanche un secondo di questo album.
Hai affrontato una svolta “elettronica” per questo nuovo disco: puoi spiegare perché?
Mi permetto di risponderti con un’altra domanda e di autorispondermi: ci sono motivi validi per non fare questa svolta? Risposta: no. O per lo meno, io non ne ho trovati. E allora è giusto farlo. La penso così. Vengo dalla più classica delle scuole e storie rock, sia come ascolti che come primi approcci agli strumenti musicali, fin da ragazzino sono sempre stato un rockettaro.
Però penso anche che sia giusto cambiare e credo che nell’elettronica ci sia un mondo ancora infinito da esplorare e che tutto, se creato e utilizzato nel giusto modo, merita attenzione. L’elettronica è un’arma fondamentale ma solo se la conosci e la sai usare, altrimenti è un boomerang che può farti molto male. Io l’ho affrontata prima di tutto con studio, tanto studio. Tante ore a lezione passate davanti a tanti synth per capire come funzionano e cosa mi potevano dare. Alla fine mi hanno dato tantissimo.
Attraverso l’elettronica non ho fatto altro che enfatizzare le caratteristiche storiche del mio sound che sono energia, ritmo e impatto sonoro. E sono riuscito a farlo, inaspettatamente, con molta più efficacia rispetto a quello che avrei potuto fare con solo una chitarra, un basso e una batteria. Che ho comunque continuato ad usare e non smetterò mai di usare, ma con ruoli e gerarchie diverse rispetto al passato, con un approccio moderno e, spero, innovativo. Chiudersi e perdersi tutto questo potenziale, è davvero un peccato per chi lo fa.
Nel disco ci sono molte “facce” della tua scrittura: quali sono le cose di cui sei più orgoglioso, all’interno de “La base”?
In questi anni ho letto tanto. Mi sono appassionato alla poesia. Mi sono innamorato di Shakespeare di cui cito uno dei suoi sonetti in un brano. Mi sono lasciato completamente andare. Ma soprattutto non ho voluto necessariamente seguire determinati schemi a volte imposti. Sono stato me stesso come mai prima d’ora.
La base è anche una scommessa in tal senso. Eppure non ho voluto mai superare la soglia dell’autoreferenzialità o dell’apparire un bacchettone, in alcuni momenti ho dato spazio anche alla leggerezza e alla spensieratezza, in altri ho provato a denunciare l’ingiustizia di situazioni alle quali purtroppo stiamo rischiando di abituarci. Insomma, piaccia o no, io sono esattamente questo. D’altronde non è ciò che può dividere che deve destare preoccupazione, ma bensì ciò che unisce a prescindere e crea unanimità di consensi.
Gianni Carboni traccia per traccia
Percorsi incoerenti apre il disco mettendo già in evidenza la svolta elettronica di Carboni, condita di sensazioni piuttosto acide.
Ecco poi La base, title track e singolo d’apertura: la struttura del brano è più pop e anche più morbida, con l’elettronica sempre in primo piano.
C’è un certo romanticismo che traspare da La città che non dorme mai. Diario di un soldato affronta questioni più vaste, inserendo anche un pianoforte nei giochi melodici del pezzo.
Underdog propone profili sonori un po’ meno ottimistici, con i synth che disegnano suoni abbastanza “cattivi”. Il rock è morto (?) suona come canzone manifesto, molto più affilata e ricca di chitarre rispetto al resto del disco.
Si torna a profili elettronici con Un bambino che sorride, mentre Borderline è fra i pezzi più solari del disco.
Molta energia e sonorità molto variabili in Vulcano tascabile, che attraversa fasi molto differenti. Si parla di mafia e di kiwi in Oro verde, mentre ci sono sensazioni quasi new wave in Accendo un c’ero.
Versione piuttosto spaziale e “libera” quella di Message in a Bottle dei Police, prima della chiusa con un’evocativa Dark Waves, con Andrea Manca.
Nelle tredici canzoni del disco Gianni Carboni presenta tutte le sfaccettature della propria scrittura e della propria musica, offrendo un palinsesto molto completo ed esauriente delle proprie abilità.