Testo e foto di Chiara Orsetti
L’espressione un po’ para e un po’ poser, come direbbe Carl Brave, dei Viito, la simpatia genuina dei Pinguini Tattici Nucleari, il rock come Dio comanda dei Ministri e la devozione allucinata di Motta. Avevo già previsto che la serata del 20 luglio 2018, primo vero giorno di Goa Boa Festival a Genova, sarebbe stata un susseguirsi di emozioni forti, e lo sono state, vibranti come i colpi sparati dalle casse che ancora mi risuonano nelle orecchie.
L’Arena del Mare ha iniziato a riempirsi un po’ a rilento e soltanto dopo le 20 i Viito salgono sul palco e aprono le danze. Coinquilini adottati da mamma Roma, si sono fatti conoscere con il loro singolo di maggior successo Bella come Roma, appunto, dove rime ben studiate e musica catchy sono riuscite a creare la miscela giusta per farli inserire, di diritto, nell’elenco dei gruppi da tenere sott’occhio. Oltre alla traccia di punta hanno eseguito Industria Porno, Una festa e Compro Oro, l’ultimo singolo uscito che in dieci giorni ha già superato le 50mila views su YouTube.
Già visti in quel di Genova, è il momento dei Pinguini Tattici Nucleari. È dalla fila al botteghino che ho adocchiato in giro parecchie magliette inneggianti al gruppo bergamasco che fa, stando alle sue informazioni su Facebook, iron rock. Si comincia con Sciare, che si fa ballare con spensieratezza, passando poi a Le Gentil, singolo tratto dall’album Diamo un calcio all’aldilà che con il suo mantra “la paura ti definisce, le aspirazioni no” fa cantare e pogare i più giovani. Dopo Gioventù brucata, title track dell’ultimo disco, si prosegue con il sorriso con due dei brani più amati, Tetris e Irene, in cui si parla d’amore ma si poga lo stesso. Amare è pogare: quando lo capisci, sei a metà dell’opera.
Sempre sorridenti, Riccardo Zanotti e gli altri Pinguini sono una ventata di energia e di freschezza: il cantante rivela di aver cenato soltanto con un cicchetto e di essere un po’ brillo, facendo sorridere per la sua schiettezza pulita. Durante il cambio palco fuggo verso l’area ristoro per prendere una birra, e alcune ragazze mi fermano per sapere dove possono trovare il banco merchandising, visto che i Pinguini hanno detto che avrebbero salutato lì i fan venuti apposta per loro. Schiettezza pulita anche nei loro occhi, questi ragazzi hanno il pubblico che somiglia loro. Sorrido. E vado dai Ministri, che nel frattempo sono arrivati sul palco.
Luci basse, energia a mille. Condizione non ottimale per fare foto, ma per tutto il resto sì. Anche chi era lì per lavorare si è fatto rapire dal rock di questi ragazzi, mentre l’energia che dal palco superava la transenna diventava un unico, gigantesco, omaggio alla musica. Alla musica e al sudore. Gli abiti di scena, decisamente pesanti per questa notte di luglio, fanno sì che il concerto sia vissuto in modo totale e devastante, in alto i nostri cuori e in basso le gocce che scivolano dalla fronte.
La scaletta scelta è un bel mix di successi degli album precedenti e dell’ultima uscita, Fidatevi, tutti di grande impatto emotivo e dal sound graffiante. I grandi classici come Spingere, Comunque e Idioti si mescolano a Mentre fa giorno, Tra le vite degli altri e la nuova Fumare, inno generazionale dell’autolesionismo consolatorio. Un momento di riflessione prima de La piazza, brano che, per coincidenza fatale, ricorda il 20 luglio di diciassette anni fa, quando Carlo Giuliani perse la vita proprio nella città che ospita il festival. Prima di lasciare il palco, ecco arrivare Una palude, melodia malinconica e meno arrabbiata che, per assurdo, è in grado di sfregiare anche di più.
Più che un cambio palco sembra una rivoluzione: strumenti tutti in fondo, percussioni, batteria, elettronica. Corde davanti, e la star della serata al centro. Motta sale sul palco mentre la musica vibra già da qualche minuto, Ed è quasi come essere felice. Una sorta di misticismo aleggia tra le luci violacee, una trance devota all’esecuzione perfetta, alla ricerca del suono assoluto. Francesco sul palco è gigante nonostante la magrezza, nonostante il suo viso sia spesso coperto dai capelli ricci, neri come i suoi vestiti. Prima di vederlo live avrei azzardato di dire che nero è anche il colore della sua anima, ma oggi credo che per riuscire a creare una simile atmosfera ci voglia una tavolozza intera di colori.
Esecuzione perfetta, mai una sbavatura nella voce; qualche espressione di disappunto quando i suoni non escono come vuole lui, ma è sacrosanto quando quello che abbiamo partorito con dolore non somiglia perfettamente a sé stesso. Vivere o morire è dedicata alla compagna Carolina Crescentini, scritta con un amore consistente e tangibile, accompagnato dal racconto di aneddoti di bottiglie di vino e vodka. Si continua con alcuni brani estratti dal primo album, La fine dei vent’anni, Sei bella davvero, Prima o poi ci passerà e Abbiamo vinto un’altra guerra, tutti eseguiti con la stessa carica emotiva e la stessa passione.
Dal nuovo album arrivano prepotenti anche La prima volta e La nostra ultima canzone, anche se il momento culmine, l’esplosione totale arriva con Del tempo che passa la felicità, sintesi perfetta e suprema di quanto accaduto sul palco. In chiusura arriva un brano imprevisto, Fango, figlio dell’esperienza decennale con i Criminal Jokers, e l’immancabile dedica ai genitori di Carlo Giuliani appena i musicisti lasciano la scena: Motta è solo con la sua chitarra, e Mi parli di te chiude una serata che ha saputo regalare qualcosa di magico, che ha lasciato il cielo talmente pieno che ha dovuto per forza diluviare, qualche ora più tardi, perché di così tante emozioni si può anche esplodere.