Grand Drifter pubblica il proprio esordio Lost Spring Songs: Andrea Calvo (voce, chitarra, pianoforte, strumenti) registra dodici brani, acustici ed elettrici (più una breve reprise finale) registrati tra il 2017 e il 2018.
“Un’ ideale raccolta di canzoni collocate “fuori dal tempo”, in un mondo immaginario che vorrebbe riprodurre ancora, e all’infinito, le emozioni di certi ascolti fatti. Spesso ho trovato ispirazione immaginando che le mie canzoni fossero prese da un disco inedito dimenticato e riscoperto a posteriori.” – Andrea Calvo
Un cantautorato gentile, delicato e instrospettivo, proposto attraverso un filtro pop-indie-folk fatto di testi immediati, che spesso richiamano immagini semplici ma dense di significato. Emblematica in tal senso è la stessa copertina del disco, che raffigura l’equilibrista che l’autore canta nella traccia n. 2 del disco: un equilibrio che evidenzia una stabilità precaria, che tuttavia, proprio per questo, non è staticità.
Grand Drifter traccia per traccia
Voce che si moltiplica su ritmi morbidi e sommessi di chitarra acustica: il disco di Grand Drifter si apre così, con The Balloon’s Boy, che quando aggiunge il pianoforte può evocare atmosfere alla Badly Drawn Boy.
Circus Days, presentata anche come singolo, ha uno spirito più propositivo e sonorità più ricche e piene, con il pop cantautorale britannico ancora bene in mente.
Più morbida e plastica Closer Doesn’t Mean Near, che ha un mood quasi beatlesiano ma che è anche movimentata da un beat tribale.
Ritmi medi e regolari per Human Noise, dotata di personalità spiccata anche se tutta giocata nei recinti del pop.
Idee leggermente più aggressive quelle di Junkyard, ma con questo disco non si arriva mai a sfondare la parete con il rock: al contrario Grand Drifter gioca molto su sfumature e tratteggi.
Poniamo il caso di Flesh and Bones: tirata e “cattiva”, con qualche tratto di desert rock. Ma poi arriva il pianoforte, poi la voce si scompone in coro, poi il contesto si ingentilisce a dispetto della batteria che picchia e del basso che disegna una linea quasi acida.
Si torna alla gentilezza con Somebody Must Fall, colorata da piccoli scintillii ma anche con un tono generale malinconico, a dispetto di qualche piccola epifania.
Listen to the Soul è una canzone semplice, dai ritmi calmi ma anche con un po’ di elettricità al proprio interno.
Si prosegue con Silent Brother, che risente di echi piuttosto 60s, con tanto di armonica a bocca. Untitled Waltz si rivela insistente, di cattivo umore, un po’ teatrale.
The Way She Knows prosegue su piani piuttosto cupi, nonostante una specie di fischiettio che alleggerisce parzialmente l’atmosfera. Qui la sezione ritmica è particolarmente incisiva.
La quasi title track A Lost Spring Song costruisce un ritmo in crescita e si arricchisce di sonorità lungo il percorso. Si chiude con la reprise di The Baloon’s Boy.
Forse il disco risulta un po’ lungo, ma Grand Drifter sa distribuire bene gli sforzi. L’album ha una buona personalità, a volte nascosta tra i contorni morbidi di brani ben concepiti e ben suonati.