Terzo disco per Giuseppe Righini: il cantautore romagnolo mette sul piatto dieci canzoni ricche di elettronica e di influenze europee per un album che chiama Houdini.
Monge Motel, che apre il disco, si srotola con calma su sonorità elettroniche. La tendenza è cantautorale, ma il discorso sonoro è curato e virato verso l’elettropop (e una dark wave cui ci si riferisce con una criptocitazione di Love Will Tear Us Apart dei Joy Division).
Più mossa Magdalène, sempre circonfusa di elettronica e di sensazioni pop, mentre Amsterdam si volge a suoni analogici, almeno in parte, con un andamento più moderato.
Nonsense Dance si cala in esperienze molto tecnologiche e in sonorità piuttosto 80s, pur mantenendo i ritmi bassi. Licantropia si cala in arie nebbiose, con qualche effetto horrorifico in tema con titolo e argomento della canzone.
Dichiarazioni importanti in apertura di Bye Bye Baba, dai ritmi marcati. Si corre abbastanza anche in Tic Toc Bar, con un “tiro” chiaramente pop.
Lungo la strada apre con un battito prolungato, e si stende su un panorama minimalista e in certo modo spirituale, costruito anche per mettere in evidenza le qualità vocali di Righini.
Ancora nomi di donne in evidenza per Houdini, la title track, ancora attenta alla parte ritmica, con l’apporto melodico fornito quasi esclusivamente dalla voce e con un retrogusto di Depeche Mode piuttosto marcato.
L’accorata Non siete soli chiude il disco ancora una volta con una ricerca di raccoglimento che prelude però stavolta ad aperture melodiche.
Un lavoro particolarmente variegato, quello di Righini, che dimostra una maturazione giunta a buon grado. Attenzione ai particolari e qualità di scrittura rendono Houdini un lavoro sicuramente degno di interesse.
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