Il 27 gennaio è uscito Il Diluvio, primo ep autoprodotto della band bresciana omonima formata da Alessandro Serioli, Simone Bettinzoli, Omar Khrisat e Piero Bassini. Un esordio definito dagli stessi artisti “un lavoro urgente e spontaneo”, frutto di lunghe sessioni in sala prove, che racchiude al suo interno suggestioni e alchimie molto diverse, sotto un’unica chiave indie-rock che convince sempre, e riesce a stupire talvolta.
La band stessa afferma che i brani contenuti in questo lavoro siano “frammenti di quello che siamo oggi”. Al primo ascolto, l’atmosfera che si crea è quella di una giornata di pioggia su un pianeta lontano, in cui i suoni avvolgenti si fondono alla morbidezza del cantato, in inglese, creando suggestioni piacevoli e malinconiche allo stesso tempo.
Il Diluvio traccia per traccia
La traccia che apre il disco è l’intro intitolata Get to the Moon, che catapulta immediatamente in orbita, attraverso i suoi suoni elettronici, verso Apollo 1, tragica interpretazione della sensazione di essere in trappola, di non avere via di scampo, vissuta dagli astronauti durante l’omonima missione. Sonorità decise, chitarre che aumentano di intensità lungo tutti i sei minuti del pezzo, creando una tensione che culmina nella parte finale in un vera e propria preghiera claustrofobica.
Rain spegne la sensazione di passiva rassegnazione. Un brano introspettivo, che lava letteralmente via, attraverso la pioggia e le lacrime, gli errori e i pensieri negativi legati al passato. Il cantato esplode nella parte finale del pezzo, ma, a differenza della precedente traccia, è un urlo liberatorio, costruttivo. Il riff di chitarra finale rimanda piacevolmente alla musica anglosassone anni ’80.
E sempre la chitarra apre la strada a Facebroke, anche se la protagonista, dopo pochi istanti, diventa la batteria, che scandisce un tempo cupo, greve. Il tempo dei social network, della realtà virtuale, che ci rende invincibili dietro allo schermo e completamente alienati nel mondo reale. Poco dopo la metà del brano, si scatena di nuovo la chitarra elettrica, in un crescendo che tende all’apocalittico. La parte strumentale meglio riuscita e ragionata di tutte le cinque tracce.
Lullaby è una ballata, lenta, disincantata, che riporta l’orizzonte verso l’infinito senza limitarlo ad essere un confine. Una canzone in cui la pioggia che batte viene percepita anche nei suoni, non solo nel testo. Il gioco di doppie voci sul finale porta alla chiusura dell’ep, con la sensazione che lo spazio e il tempo si siano dilatati.
Il Diluvio è un mini-album rock, di un rock impegnato, che, con un piede nel passato, guarda al mondo anglosassone, e non solo per la scelta della lingua dei testi; che non vuole essere un concept album ma potrebbe sembrarlo, non per i temi trattati ma per l’atmosfera lineare e di continua tensione evolutiva che sa creare intorno all’ascoltatore.
Chiara Orsetti