Riecco le segnalazioni in breve di TRAKS, che ti porta ad ascoltare lp ed ep che potresti esserti perso per strada.

Slivovitz, “Liver”

Riecco gli Slivovitz, il combo napoletano che mescola rock, jazz, progressive e parecchio altro, questa volta sulla strada di un disco live intitolato Liver, un “fegato” piuttosto dinamico. Il primo discorso impostato è quello di Mai per comando, un’apertura esplicitamente jazz con basso e sax in evidenza, su tematiche fluide, almeno all’inizio. La seconda parte del pezzo abbandona la fluidità per diventare molto più incisiva e caotica, pur senza perdere mai il filo. Si procede poi con Cleopatra, in cui il violino fa pensare ai King Crimson, e tutto il resto a una session maestosa. Currywurst imbocca piste più acide, mentre Egiziaca si nasconde negli anfratti, lasciando la tromba a prendere la strada più alta. Mani in faccia prende subito vie rumorose, ma poi rallenta improvvisamente e apre varchi per una chitarra acidissima. Si chiude con la molto isterica Negative Creep, nientemenoché  cover dei Nirvana di Bleach. La dimensione live si adatta perfettamente alle performance di una band come gli Slivovitz, visibilmente felici di trovarsi in un contesto in cui suonare senza limitazioni.

Post Hoc, “The Wounds”

Diavoletto Netlabel pubblica The Wounds, ep d’esordio del songwriter pugliese Post Hoc. Primo capitolo di un progetto di due ep che raccontano le “ferite” che segnano l’uomo nel corso della vita, le trame di The Wounds si sviluppano tra dream rock e di psichedelia. A dire il vero la traccia di apertura It’s too late si ferma più vicino al pop, con qualche idea elettronica e una chitarra impazzita. Qualche scelta curiosa caratterizza anche The Coward, indubbiamente più dreamy, mentre Star, scelta anche come singolo, si sposta verso atmosfere un po’ più intime. Titolo beatlesiano e citazione/parziale cover con She’s So Heavy: struttura pop su cui si innestano riverberi psych. A chiudere Pretty Noise, con ormai consuete “sporcature” iniziali che introducono a percussioni pesanti che si oppongono a un’arpa celestiale. Lavoro interessante e con buoni spunti per Post Hoc, che lascia aperte alcune curiosità che probabilmente saranno soddisfatte con il secondo ep.

Earthset, “Popism”

Popism è il secondo ep della band bolognese Earthset, dichiaratamente più immediato rispetto al precedente In A State Of Altered Unconsciousness. Intento parzialmente confermato dalla prima traccia dell’ep, Around the Head, purché non ci si lasci fuorviare più di tanto: la canzone sa di buon rock robusto e ha le sue parti di oscurità, con qualche riferimento post grunge. In the pendant procede in direzioni simili, con qualche eco dei Nirvana a completare il discorso. Flush si riscopre un po’ più drammatica, pur con un finale morbido e malinconico. Umori che si trasmettono anche alla seguente Icarus’ Flight, di ritmo medio, che si concatena con Ghosts and Afterthougths, che chiude l’ep con uno strumentale appuntito e quasi industrial. Buon passaggio ulteriore degli Earthset, che definiscono meglio i propri confini e allargano gli orizzonti.

Pin Cushion Queen, “Settings_3”

Si chiude, con gli ultimi tre brani, l’esperienza di Settings, che i Pin Cushion Queen hanno pubblicato in tre capitoli separati. Trilogia che fa a propria volta parte di una trilogia, in un continuo rimando di specchi. Qui il discorso si apre con l’ambigua e ondeggiante The Tunnel. Molto più contenuti gli istinti di Backward future, una contraddizione nei termini che emerge da sonorità minimal. Il progetto si chiude con Wachosky, presumibilmente dedicata ai fratelli (ora sorelle) registe. Ed è una chiusura acida e temporalesca, con derive electro piuttosto acuminate. E’ consigliabile ascoltare il progetto tutto intero, ora che è possibile, per apprezzarne complessità e varietà di ambientazioni.

 

Sergio Berardo e Madaski, “Gran Bal Dub”

Ti è mai venuto in mente di mettere insieme la musica occitana con il dub? No? Per fortuna c’è chi ci ha pensato per te: ecco infatti Gran Bal Dub, nato da un’idea di Sergio Berardo, storico agit prop della musica occitana con i Lou Dalfin e innumerevoli altre formazioni, e Madaski, co-fondatore degli Africa Unite e uno dei più grandi esponenti della musica elettronica nella sua versione dub. Il risultato, come intuibile, è sorprendente: si comincia dalla cavalcata di Joan Cavalier, che fa uso moderato di elettronica, soprattutto nei ritmi e negli echi, mentre Vidorle sembra più immersa nel dub. Famous Wolf si trasforma in una danza isterica sconfinando platealmente nella techno. Dopo Rocceré, danza molto più tradizionale, ecco La Frema del Rey, in cui l’aspetto occitano prevale. Si chiude con Branle des Chevaux, strumentale tradizionale e molto movimentato. Un esperimento interessante, probabilmente estemporaneo, ma eseguito con abilità e probabile divertimento da parte di due personaggi al di sopra di qualunque sospetto.

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