armonite 3

Un disco dal titolo filosofico e ottimista, The Sun is New Each Day, ha contrassegnato qualche tempo fa il ritorno sulle scene degli Armonite, band che ha visto i propri natali a metà anni Novanta e che oggi si è riproposta in altra forma e con collaborazioni eccellenti, come quelle di Colin Edwin e Jasper Barendregt.

Il disco, tra post rock, prog, jazz, hard rock e altre influenze, è uscito qualche tempo fa (ma lo puoi ascoltare in streaming qui sotto). Noi abbiamo rivolto qualche domanda alla band.

[bandcamp width=100% height=42 album=2957688352 size=small bgcol=ffffff linkcol=0687f5]

Potete raccontare come nasce la vostra band e come avete coinvolto Colin Edwin e Jasper Barendregt?
Gli Armonite si formano nel ’96, ancora giovani e incolti studenti di conservatorio. Dopo il primo album “Inuit”, le nostre strade si dividono. Oggi Jacopo Bigi è violinista professionista e insegnante di violino; io (Paolo Fosso) lavoro nell’amministrazione musicale. Sentivamo l’esigenza di tornare giovani e incolti, e così abbiamo creato una nuova band, mutuando il nome dalla nostra vecchia.

A Colin abbiamo mandato i pezzi da ascoltare. Mancavano le parti di basso, i suoni erano provvisori: avevano carattere di bozza. Ma a lui sono piaciuti. E così ci ha risposto che avrebbe registrato tutte le parti di basso. Per la batteria avevamo un’idea di drumming orientato al metal. In quel periodo eravamo in contatto con il bassista degli Haken e lui ci ha presentato Jasper. Era proprio quel che cercavamo.

Un titolo particolarmente ottimista per il disco e una copertina del tutto catastrofica: perché questo contrasto?

armoniteIl francese AquaSixio (Cyril Rolando) aveva dato a questa immagine il titolo “Don’t trash your dreams”, un’esortazione tutt’altro che negativa: anche quando tutto sembra naufragare, ci restano le cose immateriali, tra cui i sogni. Che non è poco. Noi abbiamo voluto sottolineare il senso relativistico. “The Sun is New each Day” è un aforisma di Eraclito che spiega come il sole, ogni giorno, dà una luce diversa alle cose.

Come nascono le canzoni del disco? Mi sembra di intuire una certa progettualità in gran parte dei brani, più che una nascita spontanea da session tra musicisti.
La nostra musica nasce da un’idea di movimento che passa attraverso l’immaginazione: scene di vita, storie, traumi, paure, passioni che scaturiscono da una sequenza di immagini. La vita e la gente offrono un ampio campionario da cui trarre spunto, in particolare quando muovono dalle nostre passioni: il cinema, la tecnologia, i videogiochi, i libri, i viaggi… Quando leggi un libro o guardi un film, sei investito da una tale quantità di idee da sviluppare che si susseguono come in una sorta di effetto domino. A noi piace partire da lì.

Armonite: un suono potente, moderno, aggressivo

Avete deciso di aprire il disco con “Suitcase war”, forse il pezzo più progressive del disco: come nasce e perché l’avete messo in apertura?
È il brano più potente che avevamo e ci piaceva aprire senza mezzi termini. Abbiamo cercato un suono potente, moderno, aggressivo, ma anche curato. Suitcase war, “guerra delle valigette”, è la fregola degli uomini in ventiquattrore, quelli che cercano solo il profitto. Sono vuoti come i Signori Grigi del romanzo “Momo” di Michael Ende, a cui abbiamo dedicato, appunto, la traccia “Die Grauen Herren”.

Potete raccontare la strumentazione principale che avete utilizzato per suonare in questo disco?
Come software abbiamo usato Cubase con suoni VST per le tastiere (per nominarne alcuni: XLN Audio Addictive Keys per il piano, LennarDigital Sylenth1 per i synth, EastWest Ra Virtual Instrument per gli strumenti etnici). Jacopo usa un violino elettrico Alter Ego.

Per quanto riguarda la batteria, MEINL Cymbals & Percussion, Lignum Drums snare drum, Pearl Session Custom drums, Sonor SQ2 kick drum, Evans drumheads, Czarcie Kopyto drum pedals, Maxonix drum gear, Vic Firth e Balbex drumsticks. Colin ha usato un Wal Mark 1 fretted bass del 1984 e un USA Spector Fretless NS 4H2 MM con pick-up EMG.

Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimate di più in questo momento e perché?
Sappiamo molto poco degli artisti indipendenti italiani perché, contrariamente a quanto succede all’estero, qui da noi non hanno la visibilità che meritano, specialmente se decidono di non scendere a (troppi) compromessi col mercato. Finché non riusciremo a instillare nel pubblico la curiosità di andare oltre la musica commerciale, il mercato indipendente resterà nell’ombra.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi