Intervista: Masai, tutto molto naturale

Si chiama Le quarte volte il nuovo disco dei Masai, band torinese/genovese che avevamo già incontrato in passato: il nuovo disco conferma il metodo già abituale per il trio, cioè sonorità molto “tirate”, tra post rock e stoner, e testi composti per lo più da citazioni di personaggi, famosi e no, che vengono “omaggiati” nel titolo del brano (qui recensione e streaming). Abbiamo intervistato la band.
In un’intervista con TraKs di qualche tempo fa, dopo l’uscita del vostro ep “Che problema c’è”, raccontavate: “Vorremmo uscire con un lp vero e proprio, una decina di pezzi, registrati con più calma e sempre senza troppa post produzione, ma meno di corsa”. Ce l’avete fatta? Com’è andata la realizzazione del disco?
Ce l’abbiamo fatta, e stiamo già componendo brani per il secondo album. La realizzazione è andata bene, lavorare con Mattia al Greenfog Studio è sempre un divertimento.
Quali sono state le difficoltà maggiori che avete incontrato nel realizzare il disco, se ce ne sono state?
La difficoltà più evidente è stata la traccia vocale della seconda traccia, Heinlein: Oscar dopo varie birre, non riusciva a dire in alcun modo la parola “valorosamente”. O reincastrare il testo su alcuni rientri in cui avevamo completamente ciccato la quantità di battute!
Qui e là mi sembra che abbiate cercato di indurire ulteriormente il suono, rispetto al lavoro precedente. E’ stata un’operazione consapevole o spontanea?
Penso che sia stato spontaneo, anche se, a quanto dicono, dal vivo siamo più duri.
Che cosa vi ha spinto alla realizzazione del brano “Silvio”, collocato strategicamente a chiusura del disco?
Ci piaceva l’idea di mostrare un fatto così com’è accaduto, in tutte le tracce c’è una riflessione su un tema, in Silvio no, è una narrazione del protagonista, senza opinioni, con una naturale carica di nonsense e di paradosso.
Masai: senza troppi fronzoli
Potete raccontare la strumentazione principale che avete utilizzato per suonare in questo disco?
E’ stato tutto molto “naturale”: siamo arrivati in studio con i nostri strumenti, pedalini e rullanti. Mattia ci ha messo a disposizione i suoi amplificatori, un Fender Bassman per il basso e un Orange e un Fender per la chitarra. Nel momento in cui abbiamo sentito il bisogno di raggiungere o provare ad ottenere sonorità leggermente diverse o che aggiungessero qualcosa, abbiamo sperimentato l’utilizzo di diversi pedali (i suoni di chitarra di tipo ambientale, delay e reverberi, sono stati registrati con un Binson Echorec che è un delay a disco magnetico realizzato tra gli anni 60 e 70 in Italia). Dal punto di vista della strumentazione siamo contenti del fatto che sia un disco molto analogico e senza troppi fronzoli.
Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimate di più in questo momento e perché?
Qui ognuno ha i suoi. Oscar: Su tutti i Massimo Volume (ma sono indipendenti?) per i testi e le atmosfere mai banali. Mi era anche piaciuto l’album de Il Buio,” L’oceano quieto”, potente e con bei suoni e cantato in italiano, mi han ricordato un po’ gli At The Drive-in a cui sono molto affezionato.
Pippo: mi sembra che in questo momento la musica “indipendente” italiana stia soffrendo di una fortissima carenza di idee, attitudine, bisogno del dire e di osare o più semplicemente non c’è niente di veramente fresco. Gli unici gruppi “di questo momento” che sto ascoltando sono i Mood, gli Zu, qualcosa di Salmo, i Marnero, Spaccamonti, altrimenti andiamo indietro nel tempo per i Massimo Volume, Uzeda, Fluxus, Three Second Kiss, per dirne alcuni.
Stefano: sono un fan degli ASINO
Siete sempre in buoni rapporti con i baristi di Genova, che avete ringraziato in occasione dell’ep precedente?
A riguardo abbiamo le idee confuse. Quindi sicuramente cogliamo l’occasione per rinnovare i nostri ringraziamenti.