Jack Adamant, “Unkind”: recensione e streaming

Per la sua seconda esperienza solista e prima escursione elettrica al di fuori dei Valerihana (la sua band di provenienza), Jack Adamant tira fuori dal cassetto otto brani diretti e immediati e pubblica il nuovo Unkind, sulla scia dei suoi principali riferimenti, tra i quali figurano Dinosaur Jr, R.E.M, Smashing Pumpkins, Sonic Youth, Lemonheads e Pixies.

Il tutto allo scopo di rendere più assimilabile il conferimento di senso proveniente dalle motivazioni che spingono l’autore a mettere in tavola argomentazioni anche molto delicate e personali.

Da un paio di anni a questa parte – spiega Jack – ho preso sempre più coscenza di un aspetto caratteristico della mia personalitá, quello che mi porta a essere ciò che sono e a scrivere quello che scrivo.

Avevo giá sentito ammonirmi, in diverse occasioni, sul fatto che a volte soffro di una sorta di dualismo o doppia personalitá (chiamiamola pure psicopatia, non mi offende la parola).

Inizialmente non riuscivo ad accettare questa idea perché la percepivo come qualcosa che non apparteneva a me. Poi ho iniziato a metabolizzarla e anche un po’ a conviverci, come se si trattasse di un dono artistico.

Quello che ancora non riesco ad accettare, però, è il lato più scuro di quella idea, quello che determina debolezza e fragilitá, instabilitá sia a livello personale che emotivo, sconforto e abbandono.

Nel tempo – prosegue Jack – ho notato che si tratta di qualcosa che accade a molti. Quindi ho voluto affrontare questo argomento più da vicino, pensando a una soluzione che possa coinvolgere tutti quelli che, come me, vivono questa sorta di conflitto personale.

Il risultato è stato un costante capovolgimento di direzione, come quando ci si incontra con un vecchio amico, non lo si vede da anni e lui ha dovuto fare i salti mortali per poterti dedicare un paio di minuti; vorresti raccontargli tutto quello che vi siete persi, ma non sai da dove cominciare e i pensieri si intrecciano fino a farti perdere il filo di quello che avresti voluto dire.

Questo disco, quindi, parla di viaggi, abbracci, paure, parole non dette, parole dette di troppo e molto altro ancora”.

Jack Adamant traccia per traccia

Si parte da A Gap in the Sun, pezzo chiaramente influenzato dal rock-pop di estrazione americana, che apre il disco su note abbastanza sostanziose.

Più veloce e filante Just telling Ya, sorretta da un drumming veloce, mentre il cantato è un po’ decadente.

Un po’ di malinconia vela And I, comunque fortificata soprattutto da un drumming muscolare.

La title track Unkind si colloca a metà disco e trasmette una certa dose di sonorità che stanno a metà tra morbido e robusto.

Before You Hold Me parte profonda e si sviluppa piuttosto drammatica, aprendosi in modo progressivo.

Una veloce Into porta ancora più a fondo nei suoni e nei modi dei 90s, dalle parti degli Smashing Pumpkins o giù di lì.

Suoni robusti e batteria roboante in Secretly Looking for a Way to Escape, piuttosto tagliente.

Si chiude con All the Way Through, che abbozza un’intro acustica ma poi la abbandona presto per un altro pezzo filante e cesellato dalla chitarra.

Benché le idee sonore di Jack Adamant non siano proprio tutte attualissime, dal suo lavoro esce comunque un disco gradevole e ben fatto.

Genere: rock-pop

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