Rotta del diavolo è il nuovo ep dei Kenshō, in uscita oggi 26 gennaio 2024. Quattro canzoni che pescano dal blues e dal rock per suscitare sensazioni forti e pensieri profondi. Kenshō significa “momento fugace di illuminazione improvvisa”: un modo, per la band, per esprimere la propria interiorità tramite parole e soprattutto suoni, arrivare alle persone cercando di creare in ognuno sensazioni, emozioni, ricordi.
Immaginate di dover arrivare al punto di affrontare ciò che ci rende umani: la paura. Aggiungete a quest’ultima la solitudine, la malinconia, il rimorso, ma anche la pace, di spensieratezza. Mescolate il tutto, mettete le cuffie e immergetevi nella nostra musica. Meritiamo di sbagliare e di capire, siamo umani
Kenshō traccia per traccia
L’ep si apre sulle note di Tic Toc (senza k, non si parla di social qui): voce, pianoforte e altri ingredienti per una canzone piuttosto “ballata”, su idee blueseggianti e abbastanza vintage, ma capaci di cambiare in corsa, facendosi sempre più veementi.
Il basso introduce a Rotta del Diavolo, la title track che assume subito abiti elettrici senza rinunciare a eleganza e un pizzico di swing. Sfuggire al proprio destino è impossibile, ma provare è umano e altrettanto inevitabile, con il pianoforte che guida e con assoli di chitarra d’altri tempi sul finale.
Lanterne nel buio per la ballata intitolata Zarathustra: profeti d’Oriente e d’Occidente (tipo Nietzsche) chiamati a raccolta per un pezzo dalle movenze sinuose e dal respiro ampio: “è quando non hai più niente che puoi riiniziare da capo“. La voce si arrampica ad altezze davvero notevoli.
Si passa all’inglese per un’ultima canzone particolarmente struggente: Shame scende per scaloni di ville hollywoodiane, rigorosamente in bianco e nero, con ritmiche che si fanno più stringenti con l’andare del brano e con qualche graffio elettrico ulteriore, per un’uscita decisamente con stile.
Ascoltando senza pregiudizi e senza informazioni sarebbe difficile collocare a quale decennio appartengano i Kenshō: eppure questi ragazzi giovanissimi, che suonano come un’orchestra dei 50s o giù di lì, più scavano nel passato e più risultano contemporanei, grazie a creatività e passione non esattamente comuni. Un primo passo davvero notevole.