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Esce Disguise of the Species, l’esordio dei Glass Cosmos: Francesco Bianchi, voce; Florian Hoxha, chitarra; Francesco Arciprete, basso e seconde voci; Matteo Belloli, batteria hanno iniziato a fare musica insieme nel 2011 dopo la fine di altre esperienze musicali.

Il disco è il risultato di esperienze e di sonorità new wave e post punk, con qualche accenno metallico qui e là e con qualche venatura pop-rock da non trascurare (in altro, come forse avrete intuito, lo streaming del disco intero).

Si parte con Milestone che ci introduce al disco con una sorta di  ronzio lo-fi iniziale, a cui fa seguito una buona dose di potenza, spiegata per tutta la traccia con l’aiuto di chitarre e cori.  Libreville, che si chiama come la capitale del Gabon, segue a passo medio.

Arriva poi Last night I killed Godot (hai voglia ad aspettarlo), un pezzo a medio ritmo con una buona costruzione complessiva e un finale can cambio di ritmo, che lascia spazio a Shines in its own light, ballata veloce a leggero tasso di malinconia.

Nessuna malinconia invece in It won’t be long till dawn, anzi una certa volontà di aggressione tramite chitarre, e un senso di inquietudine di fondo.

Si procede con toni più moderati verso le New Shores, spiagge nuove contro le quali si infrangono sonorità new wave (e qui per il mio doppio doppio senso ci vorrebbe la standing ovation, ma va be’).

All’interno di The Bilderberg Club uno si aspetterebbe invettive contro (o al limite inni a favore) di quello che è noto come l’organismo semi-segreto che tirerebbe le fila del capitalismo mondiale. Ma di indignato, in questo pezzo strumentale, c’è soltanto la chitarra.

Redemption is a path to nihilism riprende invece con il cantato e segue sentieri rock non lontani dall’alternative metal. Molto più dialettica, nonostante il titolo moralista e ciceroniano, O tempora, o mores, che costruisce anche un ritornello efficace, come si faceva una volta, appunto.

Molto accelerata A slim pixie, thin and forlorn, che si muove lungo una linea di batteria piuttosto tirata. Si chiude su Chrono, che ha il portamento della ballad, con qualche accenno di Interpol nelle chitarre e un convinto lavoro di batteria.

Buona la voce, buoni i suoni e buona la costruzione delle canzoni dei Glass Cosmos. “Disguise of the Species” contiene anche un paio di potenziali singoli “da classifica”, ammesso e non concesso che questa locuzione goda ancora di qualunque tipo di senso.

La personalità dimostrata, considerando che si tratta di un esordio, è sorprendente, e piace anche l’utilizzo di qualche spruzzata culturale qui e là. Il disco corre deciso e convinto per tutte le sue tracce e talvolta pare di avvertire anche il divertimento con il quale è stato suonato.

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