E’ uscito per l’etichetta italo-belga Jus De Balles l’esordio discografico omonimo di The Emerald Leaves, trio che pesca a piene mani dalla psichedelia recente e meno recente.

I tre sono Andrea Giommi (già leader degli Edible Woman), Giacomo Governatori e Alessandro Gobbi (Caffiero). Il disco si avvale della collaborazione di Philippe Petit, storico discografico e dj marsigliese, nonché figura di culto della scena impro noise internazionale.

Il disco ha molte particolarità e si caratterizza per una certa voglia di esperimento. Ma nessuna particolarità batte questa: è stato pubblicato anche in audiocassetta, oltre che in digital download. Immagino sia un omaggio tra le righe a TraKs, ma purtroppo non ne ho la certezza.

Ci si tuffa nella psichedelia fin da subito, con Lonestar, segnata peraltro anche da un consistente lavoro di batteria: una prima passeggiata in assenza di gravità che avrà un discreto seguito nell’arco del disco.

The New Order I Pray to Come, almeno sulle prime, è più moderata, ma ha in serbo qualche sorpresa. La trama sviluppata dal pezzo si serve di suoni pop ma li monta in modo talvolta sorprendente.

Segue The Lord, sorta di preghiera inquieta accompagnata da suoni pischedelici e da un ritmo costante. Buono anche in questo caso l’utilizzo dei cori e degli effetti, ma senza perdere mai di vista la sostanza del pezzo.

Tra suoni elettronici liquidi e una chitarra che freme per l’attesa si apre They Go, che poi attraversa diverse fasi e metamorfosi, elemento che la accomuna a molte delle tracce del disco.

Send Peace, guidata dal cantato quasi sottovoce, si dipana per paesaggi onirici a un ritmo lento e costante. Il pezzo può portare alla mente anche certa elettronica recente, stile Moby o Air.

Altra direzione invece per The Emerald Leaves, molto più aggressiva e martellante, con un cupo lavoro sotterraneo a fare da sfondo. Si chiude più o meno da dove si era partiti, con King Lonestar, in cui gli strumenti a corda lottano per rimanere a galla sulla superficie dell’elettronica (e alla fine ce la fanno).

E’ chiaro che la collaborazione con Petit ha regalato al disco colori diversi e ha spinto qualche traccia verso direzioni che sulle prime non erano prevedibili. Ma la sostanza del trio era già presente e formata prima dell’intervento del dj.

Da tutti i punti di vista, il disco (pardon, il nastro), si può dire riuscito e completo, con tutte le sensazioni giuste al posto giusto. A giudicare così, su due piedi, si direbbe che la passeggiata spaziale degli Emerald Leaves sia appena iniziata.

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