Lee Fry Music presenta Kalipè, il suo primo disco, nato durante il lockdown: un progetto senza confini, in cui il reggae è il punto di partenza di un viaggio che passa anche per la musica elettronica, il dub, sfiora il rap e si lascia trasportare da influenze mediorientali e balcaniche e richiami di afrobeat e black music. Lo abbiamo intervistato.
Ci spieghi qualcosa di “Kalipé”, il tuo nuovo album? Cosa significa il titolo e quali sono state le tue premesse e le tue ispirazioni?
Dopo i primi 10 giorni di lockdown a marzo in cui ansia e preoccupazione per la situazione generale e anche lavorativa a livello personale avevano preso la meglio, ho deciso di reagire in qualche modo… l’unico che conoscevo e che mi ha aiutato anche in altri momenti di sconforto è sempre stato concentrarmi sulla musica…
Ho quindi iniziato un periodo un po’ piu’ intenso di produzione su materiale nuovo, concludendo intanto alcuni progetti già avviati. Visto che il tempo non mi mancava pian piano ho deciso di provare a mettere insieme i pezzi per provare a presentare un lavoro un po’ piu’ corposo rispetto al precedente ep, ma che ne seguisse grosso modo l’idea. Il disco quindi ha preso forma in questo modo e posso ritenerlo una sorta di chiusura di un cerchio un po’ piu’ ampio, che rispecchia al 100% innanzitutto i miei ascolti e (con i limiti del caso) la mia idea di fare musica.
Kalipè è un augurio rivolto agli scalatori ai piedi dell’Himalaya e significa ‘buon cammino, a ritmo lento ma sicuro, un passo alla volta’ .. L’ho trovato significativo innanzitutto per il mio percorso e anche per quanto riguarda il periodo generale, dove questa pandemia mi (ci) ha insegnato che tutto puo’ cambiare velocemente e che nonostante la nostra presunzione, non siamo ‘padroni’ di niente… se non del nostro tempo e di cio’ che ne facciamo… E’ quindi un augurio innanzitutto a me stesso per un nuovo percorso portandomi dietro tutto cio’ che ho imparato in tanti anni di ‘impegno’ verso la musica
C’è una grande mescolanza di sonorità all’interno dell’album. Hai voluto spingere particolarmente su questo aspetto proprio in un momento in cui i viaggi sono così difficoltosi?
Penso che sia stata più una conseguenza naturale di ciò che ascolto in genere. Anche perché la mia difficoltà a viaggiare si era già presentata prima, per altri motivi e per miei errori precedenti. In generale però mi è sempre piaciuto tenere un piede ben saldo qua nel Roero, la zona dove sono cresciuto, e un altro a tentare un passo più lungo e lontano possibile, per scoprire e provare a “fare mie” le differenze culturali e musicali che sicuramente possono soltanto arricchire sotto davvero tanti aspetti.
Qual è stata la traccia che è risultata più difficile da scrivere?
Direi la traccia numero 9, Rabitaan…. Come altre del disco, proporre musica strumentale non è facile poiché necessita di certi arrangiamenti e attenzioni maggiori rispetto a una traccia cantata, in modo da non risultare sempre uguale e noiosa all’ascolto. Sono partito da un vecchio provino e l’ho rivisto quasi totalmente ma confesso di aver avuto molti pensieri sugli arrangiamenti che potevano rivelarsi adatti
Ci racconti qualcosa degli ospiti del disco?
Il problema principale già sperimentato in precedenza era il budget minimo a cui purtroppo ho dovuto attenermi, in quanto in primavera sono anche rimasto fermo vari mesi con il lavoro. E ai miei livelli, ospiti e collaborazioni “importanti” implicano investimenti adeguati… Facendo di necessità virtù e approfittando dell’enorme apertura che al giorno d’oggi offre il web, sono andato alla ricerca di altri artisti emergenti ma comunque validi che potessero dare qualcosa in piu’ alle strumentali, senza dovermi svenare economicamente… Posso dire di essermi affidato abbastanza al caso e di essere andato a sentimento nelle scelte, rimanendo comunque molto soddisfatto del risultato. Questo mi ha anche convinto che spesso lasciare che le cose vadano per conto loro, puo’ riservare piacevoli sorprese.
Quali saranno i tuoi passi successivi?
Visto che il periodo incerto e difficile continua, sto continuando anch’io nell’unico modo che mi è consentito, visto che mi è impossibile portare avanti gli altri progetti teatrali e organizzativi che mi vedevano coinvolto. Continuo quindi a preparare del materiale da tenere pronto all’occorrenza. Per questo 2021 a livello di produzioni mi piacerebbe mantenere alta l’attenzione facendo uscire qualche singolo (il primo in febbraio) e al massimo un ep verso fine anno. Ma appunto, come ho imparato, cerco di non stare fermo tenendomi pronto a eventuali occasioni che si potrebbero presentare, sperando si possa lentamente tornare non alla normalità che conoscevamo in quanto evidentemente insostenibile sotto tanti aspetti, ma almeno a un periodo un po’ più leggero per tutti.
Lee Fry Music traccia per traccia
Si parte da Natural, con Flower Rising, che mescola atmosfere drum’n’bass con suggestioni evidentemente orientali, non prive di inquietudine e sensualità.
Sorun Degil si fa più oscura, mantenendosi in direzione Oriente, ma con qualche influsso mediterraneo.
Con Koo Si Manhante Ni Hin ci si sposta decisamente verso l’Africa, con sensazioni tribali che trasmettono vibrazioni lungo tutto il brano.
Si invadono territori ispanici mescolando sensazioni ska e hip hop con Respirar, con El Losada.
Jugaad torna a est, ballando fra idee e ritmiche elettroniche. Molto fitto anche il ritmo di La Nakhum, che si accosta ai canti del deserto ma con una certa vivacità di fondo.
Sensazioni balcaniche sono quelle che si intuiscono dalla danza di Reci Nam, con la partecipazione di Gala Zerua.
Si balla anche in Espero Todo Bien, i cui sentimenti black sono mediati da cori, voci e suoni sintetici. Rabitaan chiude il disco con una certa dose di dramma, avvicinandosi al dub e mescolando le emozioni.
Lee Fry Music conferma le virtù del proprio progetto in un disco articolato, ricco di influssi, interessante e con un sound ben definito e omogeneo.